Vincenzo Reale e La fortuna del Greco

Sine Pagina - Vincenzo Reale e La fortuna del greco

Recensione di Antonella Perrotta

“A quei tempi, sull’Aspromonte e ovunque il tempo si mostrasse soltanto per decretare la fine delle generazioni, la violenza e la beffa coesistevano, così come il senso dell’onore e la lascivia. Era possibile credere in tutto, anche nella congruenza dei contrari. Ciò che contava davvero era sopravvivere, e ognuno doveva sopravvivere a modo suo.”

Siamo in Calabria, nel borgo aspromontano immaginario di Carafa Nuova, dove la violenza era come una forza della natura: inevitabile, incontrollabile, inarrestabile, dove se arrivava la tempesta, era meglio chiudersi in casa e tapparsi le orecchie e aspettare che finisse.
Qui, prima che il borgo venisse profanato così come l’intero Aspromonte e smettesse di essere casa trasformandosi in un luogo insidioso, in un luogo fantasma, è vissuto Antonio il Greco, il protagonista principale del romanzo La fortuna del Greco di Vincenzo Reale (Rubbettino Editore), al momento in cui scrivo finalista al Premio Internazionale Flaiano 2024 nella sezione Under 35.

O meglio, qui è sopravvissuto a suo modo Antonio il Greco.

Antonio, detto il Greco perché veniva dalla Jonica e secondo alcuni somigliava ai Bronzi di Riace, in particolare a quello con un occhio solo, il vecchio guerriero, vaccaro convertitosi in muratore per le esigenze e le disperate casualità della vita, è sopravvissuto alla Seconda Guerra, alla Montagna, all’emigrazione in cerca di fortuna verso il Nord Italia e l’Europa, al ritorno, al terremoto, alle faide di paese.

Non é da solo. Con lui c’è Antonio il Tòzzolo, suo cugino, che gli somiglia fisicamente come una goccia d’acqua, ma è caratterialmente il suo rovescio. Tanto strafottente il Tòzzolo, quanto ligio al dovere il Greco. Eppure, proprio la strafottenza senza limiti del Tòzzolo affascina il Greco che non esita a seguirlo in rocambolesche avventure in forza di quella legge di natura che spesso porta gli opposti ad attrarsi e compensarsi. Non possiede nulla, il Tòzzolo, e quindi nulla ha da perdere. Ha soltanto la sua volontà e lui sa cosa fa, sa che sarebbe meglio non farlo, ma lo fa uguale perché gli va di farlo. Era la sua volontà a renderlo libero.

Ci sono, poi, i genitori di Antonio il Greco: Giosafatto, uomo pacifico e timoroso, e Coletta, che parla con santa Brigida come se la vedesse in carne e ossa. E c’è la vecchia nanna, così vecchia da sapere la storia dell’antico diluvio e di come il Tridente era arrivato in cima al Monte San Pietro, che le storie non le raccontava, le cantava perché una volta s’imparavano così.

C’è sua zia Teresa la Sanpaulara, così soprannominata perché era nata la notte dei santi Pietro e Paolo, che aveva la capacità innata di domare i serpenti … e ne aveva addomesticato uno, una piccola serpe rossa cui s’era affezionata e che ora, giorno e notte, custodiva sotto la veste, tra i seni.

E c’è ancora una girandola di personaggi, tutti altamente caratterizzati dalla penna di Vincenzo Reale, avvolti da un’aura di leggenda, di magia, che riporta la narrazione alle atmosfere del realismo magico proprie della letteratura sud-americana.

A dare voce alle avventure di vita e di sopravvivenza di Antonio il Greco e del Tòzzolo è il nipote del Greco, io narrante che procede su diversi piani temporali, un po’ presente, un po’ passato, anche se il presente e il passato si mischiano nella narrazione così come nella vita di Antonio il Greco che neanche si accorse di invecchiare …, che non ebbe mai tempo di pensare al tempo, se non come a un impasto di cemento e acqua che faceva presa, una perenne cementazione.

E il lettore non può che rimanere affascinato da questa narrazione che sa di cuntu perché ha il sapore della terra aspra, dell’abbandono, della nostalgia, del ritorno, della tradizione e della superstizione, della magia, del terreno e dell’ultraterreno, della consistenza rocciosa del reale e della leggiadria di quella spiritualità incarnata da una farfalla con le ali nere screziate di giallo che viene fuori dalla mano destra del cadavere del Greco. “E quando è entrata?” chiese qualcuno. “Era sua madre” disse sua moglie.

Vincenzo Reale è un narratore eccezionale, eccezionali sono le sue pagine che riportano al gusto delle storie, le nostre storie, quelle della nostra gente, dei nostri luoghi spesso amaramente trasformati da luoghi di vita a luoghi di silenzio, in cui coesistono, non senza contraddizione, la bellezza, la disperazione e la violenza. Sono storie di sudore, di braccia operose e di mani vacanti, di sangue, d’amore, di pietre, di case e destini costruiti giorno dopo giorno, di discendenze, di azzardi, di speranze, di addii e arrivederci, di scomparse, di preghiere, di credenze e rituali magici.
Sono storie di sopravvivenza.
Consigliatissimo.

La fortuna del Greco, Vincenzo Reale, Rubbettino Editore, collana Velvet, 2023, pagg. 171

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Chi sono

Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.
Se ti va, puoi seguirmi sui miei profili social.

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Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.

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