Recensione di Antonella Perrotta
Un romanzo potente come pochi Pelleossa di Veronica Galletta, edito da Minimum Fax, corale e intimo insieme, immaginifico, fantasioso e realistico insieme.
È il 1943, l’anno dello sbarco degli americani, del ritorno dei reduci, del dramma di chi dalla guerra non è tornato e di chi è stato dichiarato disperso, d’ideali rinnegati e d’ideali enfatizzati dalla speranza di ricostruzione e rinascita.
Siamo a Santafarra, un paesino immaginario della Sicilia, che si allunga sul mare come una ciuciertola, e che l’autrice descrive con una tale dovizia di particolari che sembra di vederlo, toccarlo, annusarlo, di camminare tra i suoi vicoli distesi fra le colline e il mare, fra le cave, fra le case che sanno di sale fino alla Casa Verde dove vivono i Rasura, i Pelleossa, la famiglia di Paolino.
È proprio attraverso lo sguardo di Paolino, un ragazzino che si nutre di fantasie, di domande e di tristezza, che conosciamo la microstoria di una comunità che attraversa la Storia e vive rivalità e drammi personali.
Noi lettori lo vediamo crescere, Paolino, da bambino di sette anni a ragazzino, e ci affezioniamo a lui, vorremmo sostenerlo nelle paure e nelle incertezze dell’età, mentre affronta prove di coraggio per liberarsi dal soprannome di Ncantesimo che è come un’ingiuria tormentosa, mentre si arrampica sul vecchio olivo saracino e si addentra nelle grotte, mentre soffre in silenzio per gli occhi tristi di sua madre, per l’amore di Natàlia, per la morte del suo amico e il non ritorno dalla guerra di suo fratello dato per disperso, imparando la ferocia della certezza (della morte), contro l’angustia dell’attesa.
A mare con suo padre e suo fratello Pascali, però, Paolino non vuole andare, ché il mare restituisce ossa di morti e pesci che odorano di sangue, lui, figlio così estraneo, condannato dagli eventi all’amore per un padre che non lo meritava.
È amico di Filuppu, lo scultore di teste (e l’autrice ci rivela essere stata ispirata dalla figura dello scultore siciliano Filippo Bentivegna), un folle, ma forse no, ritornato dall’America e che dell’America rimpiange ancora l’amore di Meri.
Filippu doveva fare le teste, tutte le teste di quei buchi di quei palazzi d’America, unouno, tutta l’umanità, fino a ritrovare Meri… Scolpire tutta l’umanità… scolpire ferma il tempo e le persone, se no cangiano. E quando cangiano, cangiano sempre peggio …
Filuppu lo conforta, gli parla offrendogli risposte, ma porgendogli anche nuove domande, e a Paolino pure le teste scolpite di Filuppu parlano ché testa ca un parra si chiama cucuzza. Anche se quannu parra spreca il suo tempo a sciarriàrisi…
La penna di Veronica Galletta ci regala una storia straordinaria in bilico tra il reale e la fantasia, popolata da moltissimi personaggi. Tale molteplicità, tuttavia, non scalfisce l’unicum narrativo, la coerenza e la struttura della trama che l’autrice conduce sempre con grande maestria fino a svelarci un’ultima storia nella storia, un’ultima verità.
Lo fa ricorrendo a riferimenti letterari colti, da Sciascia a Bufalino, e utilizzando un impasto linguistico d’italiano e dialetto siciliano che coglie e rinnova la grande tradizione letteraria siciliana, arricchendola di una voce contemporanea unica e viva.
Da non perdere.
Pelleossa, Veronica Galletta, Minimum Fax, 2023, pagg. 345