Uomini e Topi. John Steinbeck tra il Bene e il Male

Sine Pagina - Uomini e Topi. John Steinbeck tra il Bene e il Male
Recensione di Antonella Perrotta

Dove finisce il Bene e dove inizia il Male? Qual è il loro confine?

Sembra essere questa la domanda che si pone John Steinbeck in Uomini e Topi, romanzo breve in cui il Male si palesa intorno, celato dalla stessa Natura, come la biscia, il serpente dell’iconografia biblica, che, nelle prime pagine, scivola nell’acqua dell’ansa di un fiume.

La storia, emblematicamente ambientata “a poche miglia a sud di Soledad”, in California, ci trasporta in una vita dura e in un mare di solitudine alleviate soltanto dall’amicizia fra gli uomini ché l’amicizia è importante, perché da soli ci si ammala e “un uomo ammattisce se non ha qualcuno. Non importa chi è con lui, purché ci sia.”

Infatti, sono amici i protagonisti di questo romanzo: Lennie Small, “un uomo enorme, dal volto senza forma, con occhi grandi e chiari e ampie spalle ricurve”, il passo pesante, strascicato, un ossimoro nel nome, e George Milton, il suo opposto, “uomo piccolo e lesto, scuro in volto, con occhi acuti e irrequieti e lineamenti affilati e marcati”. Forte più di chiunque altro, ma incapace di pensare e badare a se stesso, “stupido come la malora”, ma né pazzo né cattivo, anzi, ingenuo come un bambino e, come un bambino, dal cuore puro, il primo; scaltro e furbo, il secondo. Il loro legame sa di compensazione reciproca. Lennie è accudito e guidato da George, il quale trae conforto dalla presenza e dalla forza di Lennie che a sua volta riesce anche “a farlo sentire più intelligente”.

Entrambi sono braccianti stagionali, viaggiano assieme di fattoria in fattoria, coltivando un sogno che, nella consapevolezza della sua irrealizzabilità, sarebbe troppo definire speranza: “una casetta e un paio di acri con una mucca e qualche maiale… e un capanno per i conigli e i polli” e un orto e una stufa. Se lo ripetono come un mantra, come se, a furia di ricordarlo, possa diventare reale. E le parole riescono, in effetti, nella magia di materializzarlo, ma soltanto dinanzi ai loro occhi, come balsamo per la brutalità dell’America del duro lavoro e della magra paga, dei capi e dei braccianti, dei pregiudizi razziali.

Ma, un giorno, Lennie, che trae piacere dall’accarezzare le cose morbide come il velluto, i topolini e i cagnolini, non riesce a dosare la forza delle sue possenti mani e il Bene finisce in lui col trasformarsi in Male e, da innocuo bracciante, diventa l’assassino, seppure involontario e inconsapevole, di colei che, bella e annoiata, è l’emblema della tentazione.

Mentre George, in parallelo, finisce col trasformare il Male in Bene e, sottraendo Lennie alla vendetta di chi lo vuole morto, fa dell’assassinio dell’amico un atto estremo di carità, di amicizia e di liberazione.

E così Lennie e George, pur fisicamente e caratterialmente opposti, trovano il loro legame non solo nell’amicizia e nel sogno comune, ma anche nella morte dell’uno per mano dell’altro. E il Bene e il Male finiscono col fondersi nelle loro azioni, cessando di essere dicotomia assoluta, ricordandoci così che nulla è chiaro e perentorio, che non sempre si è ciò che si fa, che ogni gesto va compreso nelle sue motivazioni, che la vita è sofferenza e disillusione e che, nella lotta dell’uomo contro un’esistenza dura e contro se stesso, “i migliori piani dei topi e degli uomini, van spesso di traverso, e non ci lascian che dolore e pena, invece della gioia promessa.”

È proprio da questa poesia di Robert Burns che trae origine il titolo, Of Mice and Men, nella sua versione originale. Tradotto per la prima volta nel 1938 da Cesare Pavese per Bompiani e oggi riproposto nella traduzione di Michele Mari, portato sul grande schermo per la prima volta nel 1939 e riprodotto nel 1992, Uomini e Topi è un piccolo grande capolavoro della letteratura americana del Novecento, in cui la narrazione scorrevole e ricca di dialoghi e la prosa asciutta e senza fronzoli, nulla tolgono alla potenza dei personaggi e alla forza emozionale delle pagine.

Già pubblicato su BorderLiber, 14 aprile 2022

Uomini e topi, John Steinbeck, Bompiani Editore, 2021, pag. 139

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Chi sono

Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.
Se ti va, puoi seguirmi sui miei profili social.

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Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.

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