La rivoluzione, forse domani. Il lascito di Rosa Mangini

Sine pagina - La rivoluzione, forse domani. Il lascito di Rosa Mangini
Recensione di Antonella Perrotta

Chi era Rosa Mangini?

Ne parlo al passato perché non è più con noi, non potrà consegnarci altri suoi scritti né parlarci di sé. Quel che sappiamo di lei lo deduciamo da ciò che ci ha lasciato: una cartelletta di pelle rinvenuta in un mercato delle pulci. Al suo interno, prove scolastiche con giudizi a sua firma, le pagine di un romanzo vinte dal tempo e dall’umidità e un racconto, preservato per intero, scritto a mano su fogli protocollo datati dal 7 al 16 febbraio 1941: La rivoluzione, forse domani. Da questo lascito capiamo che era un’insegnante vissuta nei primi anni del Novecento, originaria dei colli tra Pavia e Piacenza, padrona di più lingue, autodidatta, antifascista.

Il racconto-manifesto contro la guerra

La rivoluzione, forse domani è ambientato nel pavese, territorio che l’autrice dimostra di conoscere bene, così come ne conosce il dialetto, i nomi, i soprannomi, le abitudini di vita. La guerra è raccontata attraverso lo sguardo e le parole del vecchio nonu, il Balossi, che schernisce “un mondo che pure era il suo” e inveisce contro i tudèsc e contro “il popolo dei manganelli”, contrapposto al popolo con la zappa, il popolo vero, ché è “la vanga che cura, previene, compatta, rinzolla”, mentre “il manganello offende, abbatte, rovina”. Insieme al nonu, un gruppo di ragazzi, vignaioli per lo più. Vivono l’amore della loro gioventù, scelgono di restare nella loro terra, sognano un futuro da uomini liberi e osteggiano le camice nere con la semplicità dei loro mezzi, la fiamma sincera dei loro ideali e la loro sete di libertà, confidando in una rivoluzione che verrà, forse domani …

L’ha scritto in poco più di una settimana, Rosa Mangini. Ma è il racconto perfetto. Il dipinto veritiero e di forte impatto di un’epoca, di un territorio, della sua gente unita nelle disgrazie e nella compassione. Un manifesto ideologico non superato dal tempo e dall’evoluzione della Storia, sempre che di evoluzione, e non di cammino in circolo, si possa parlare. Narra di guerra, la Seconda, ma non è un diario né un’autobiografia o un saggio di cui è piena la letteratura. Neanche è uno scritto di violenza, di orrore, di dannazione. La sua voce è ferma nella disapprovazione e nella condanna della dittatura e della guerra tutta e, nello stesso tempo, ha il sapore intenso delle cose semplici, eppure eterne, che sanno farsi poesia e di cui ci è ormai sfuggita l’importanza. “L’unica guerra vinta è quella che non si combatte” scrive Rosa Mangini e questa frase l’umanità dovrebbe scolpirla nella mente e farne tesoro, quando invece, di fronte a conflitti continui, si schiera con una parte piuttosto che con un’altra, come se in una guerra ci fosse una ragione e un torto, un vinto e un vincitore.

La terra e la poesia dei luoghi

Ma è anche un inno alla terra questo scritto, la terra che “è la casa più bella e sicura”, che “toglie la fame e la sete”, che “non è barattabile con alcunché” per quel legame che “unisce il muscolo al nervo, le molecole d’idrogeno a quelle d’ossigeno nell’acqua”, che “è l’unica bandiera cui s’appartiene”, ché se togli la terra e costruisci palazzi “come farai a sognare?”.
Ed eccola, la poesia dei luoghi, proprio quella, perché anche un luogo può essere poesia, perché “la poesia devi saperla vedere”, non soltanto leggerla.
Gioca d’anticipo Rosa Mangini nel prefigurarsi, già nel 1941, quello che accadrà: “la città che va alla campagna” per costruire case, per invadere, per sostituire il necessario con ciò che non lo è, abbandonando la memoria, quella delle “carabattole in cantina” dove i “racconti resistevano” ricordando chi si era, da dove si proveniva, qual era il proprio posto.

Un agro-dolce

Così potremmo definire questo racconto che, all’amarezza di un’umanità in guerra, abbagliata dall’uso delle maiuscole (“Quanto è piccolo l’uomo di troppe maiuscole”) e, al contempo, cieca e dimentica delle cose vere, unisce la dolcezza dei luoghi agresti e la saggezza delle tradizioni, l’amore, la speranza, la resistenza, lasciandoci in eredità un chiaro messaggio che non possiamo lasciare inascoltato. Per la salvezza di noi tutti.

I materiali

Come tutti i volumi editi da Divergenze, i materiali utilizzati, dalla copertina alla carta all’inchiostro, sono di pregio, rari, se non unici, nel panorama editoriale. Se la vista e il tatto non fossero sufficienti, provate a passarci sopra la matita e ne avrete conferma.

La rivoluzione, forse domani. Rosa Mangini, Divergenze Editore, pagg. 130

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Chi sono

Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.
Se ti va, puoi seguirmi sui miei profili social.

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Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.

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