IA: l’Intelligenza debole nel saggio IL PROCESSO ARTIFICIALE di Mariangela Miceli

Sine Pagin - IA l’Intelligenza debole nel saggio IL PROCESSO ARTIFICIALE di Mariangela Miceli
L’illustrazione di copertina è estratta dal volume

Recensione di Antonella Perrotta

Un saggio, quello di Mariangela Miceli per edizioni Divergenze, che, pur approfondendo il possibile ruolo e non-ruolo dell’IA (Intelligenza Artificiale) nel processo penale, induce a riflessioni più ampie sul concetto di natura umana e sull’evoluzione – o involuzione? – individuale e sociale cui si va incontro nello sviluppo e diffusione di tale tecnologia.

Cos’è l’Intelligenza Artificiale, ormai, l’abbiamo imparato tutti e abbiamo iniziato a usarla anche solo per gioco. Cos’è davvero lo dice senza filtri  Lucrezia Lombardo che firma la postfazione del saggio: è un’intelligenza debole.

Debole perché, per quanto possa simulare l’agire e il pensare umano, non è in grado di decidere, creare e sentire come un essere umano. Tuttavia, ha l’ambizione di volersi sostituire all’uomo per dare origine “a un essere che superi definitivamente la vulnerabilità naturale, massimizzi le proprie facoltà e l’aspettativa di vita, riducendo al minimo il carico di dolore che l’esistenza implica.”

Ma è ambizione o follia questa?
Può considerarsi persona un essere la cui capacità di amare, soffrire, provare emozioni, empatia, sogni e bisogni è messa in discussione? O forse sarebbe più corretto parlare di un “ibrido?

“È in gioco la ridefinizione del concetto stesso di natura umana, ossia un concetto che a molti contemporanei sta stretto” scrive la Lombardo che non ci risparmia neanche il profilo collettivo e sociale di tale trasformazione che rappresenterebbe “un’involuzione mascherata da evoluzione.”

Perché dietro l’Intelligenza Artificiale, dietro quella volontà – che non è detto sia reale esigenza – di facilitare i compiti e aumentare l’efficienza del sistema produttivo, oltre alla finalità di lucro, ci sta anche il progetto distopico di distruggere l’uomo come lo conosciamo, di annientare la sua capacità di pensiero e di ragionamento che può indurre all’obiezione, alla rivolta, a una critica acerba di ciò che è propinato o “democraticamente” imposto, “fino a rendere impossibile qualunque resistenza all’interno della struttura sociale.”
Il progetto distopico, cioè, di trasformare l’uomo in un oggetto fra gli oggetti”.

E questa riflessione generale della Lombardo meglio porta a comprendere quella più tecnica della Miceli sull’uso dell’IA nel processo penale.

In campo penalistico, è evidente che non i beni materiali sono a rischio, bensì la persona e la sua libertà. Ecco perché il processo penale ha una struttura il più possibile garantista che vede il coinvolgimento di accusa e difesa. Tra i baluardi di una società civile rientrano, infatti, la previsione di un pari contraddittorio tra le parti, la  previsione di più gradi di giudizio e il conferimento del potere decisionale a un soggetto terzo e imparziale.

In un momento storico in cui l’utilizzo dell’IA è esteso anche in ambito giuridico, la domanda che si pone è se un processo celebrato attraverso algoritmi possa condurre a un “giusto processo” che tuteli la libertà inviolabile dell’imputato, presunto innocente fino a condanna definitiva.

Viene naturale il confronto tra l’utilizzo della IA nel nostro sistema giuridico di Civil Law con quello dell’utilizzo (oggi già diffuso) nei sistemi di Common Law.

Nei Paesi di tradizione anglosassone il precedente giurisprudenziale è vincolante per il giudice, laddove nel nostro sistema è la legge a esserlo, mentre la giurisprudenza assolve una funzione interpretativa delle norme, tutt’al più funzionale a colmare le lacune dell’ordinamento giuridico.

Per tale motivo, se può essere utile fare ricorso a un algoritmo per scovare il precedente utile alla decisione del caso in esame, più complicato è il ricorso a un algoritmo per interpretare e, quindi, applicare una norma al caso concreto. “Quando si discute di condanne, di cause di giustificazione, di limitazione di libertà, non è mai superfluo adottare il rigore sia delle norme che dell’interpretazione del diritto da parte del decidente, il quale non potrà rinunciare al proprio libero convincimento, oltre a un’applicazione meccanica delle norme processuali e di diritto.”

Ciò posto, é davvero possibile sostituire interamente la logica umana con una logica algoritmica quando si parla di vita, di libertà personale? si chiede Mariangela Miceli.
Potrà un software, una macchina, … col solo ausilio di un algoritmo, decidere se un essere umano è colpevole o meno? Potrà compiere delle valutazioni in termini di punibilità, di recidiva, di capacità di intendere e di volere?
Potrà l’esigenza di deflazione delle controversie essere affrontata con l’utilizzo di algoritmi, piuttosto che con l’implementazione delle risorse umane e finanziarie che sarebbero necessarie e che, invece, sono sempre più depotenziate?
Potrà una chat, “un avvocato virtuale”, sostituire l’avvocato difensore in carne ed ossa?

Con una punta di polemica personale, dico che il ruolo del difensore non è sempre socialmente riconosciuto come funzionale e necessario a un processo che garantisca il contraddittorio, quasi fosse soltanto “un ospite del processo”, e che tale figura è spesso travolta da pregiudizio che è sinonimo d’ignoranza e leggerezza e acriticità di vedute. Eppure, il ruolo dell’avvocato difensore é fondamentale al contraddittorio, così com’è fondamentale l’equità e l’imparzialità del giudice. La sola idea di colloquiare ed esporre le proprie ragioni, umane prima che fattuali, a una macchina dovrebbe ripugnare a chiunque, così come dovrebbe incutere paura la sola idea di un processo non garantista del diritto di difesa.

Ed ecco che, conclude la Miceli, la risposta agli interrogativi non può che essere negativa. L’utilizzo dell’IA nel nostro processo penale sminuirebbe il ruolo umano del giudice, oltre che degli altri soggetti processuali, accusa e difesa, e non consentirebbe “il ragionevole dubbio dell’esistenza umana, dell’emotività, della psiche, degli istinti antropici.”

Questo saggio è acuto e lungimirante e dovrebbe essere letto non soltanto dagli operatori del diritto, ma da chiunque voglia riflettere seriamente sul ruolo dell’Intelligenza Artificiale nella propria e nell’altrui vita, sulle conseguenze umane e sociali cui porta lo svilimento/annichilimento dell’essere umano come sinora è stato e del cittadino come oggi è inteso.

Perché la prima domanda che dobbiamo tutti porci, da uomini e da cittadini, è: “Quale posizione intendiamo assumere?” e a questa domanda siamo tenuti a rispondere.

Il processo artificiale, Mariangela Miceli, Divergenze Editore, collana Impronte, 2023, pagg. 61

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Chi sono

Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.
Se ti va, puoi seguirmi sui miei profili social.

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Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.

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