Recensione di Antonella Perrotta
Non c’è niente di nuovo nel presente che non sia stato già vissuto nel passato.
Sebbene ambientato negli anni che seguirono la Seconda Guerra e furono anche segnati dalle lotte contadine, nelle parole di Giuseppe Berto ritroviamo l’oggi con le sue contraddizioni, i suoi giochi di potere e i suoi gioghi.
Meno noto di Il cielo è rosso e di Il mare oscuro, nelle pagine di Il brigante, trasposto per il grande schermo nell’omonimo film con la regia di Castellani, lo sguardo che Berto rivolge alla Storia non è più quello personale di colui che l’ha vissuta e sofferta, ma é uno sguardo collettivo, neorealista e marxista a suo modo.
Attraverso le vicende del brigante Michele Rende narrate dal ragazzino Nino, Berto ripercorre, romanzandole, le reali vicende del brigante calabrese Francesco Acciardi verso la cui figura si era schierata l’opinione pubblica per aver sì assassinato, ma in nome di quell’onore e di quel credo nel farsi giustizia da sé che impregnavano gli animi dei deboli. Lo stesso Berto aiutò Acciardi ad avere la grazia e i giornali dell’epoca trattarono la sua storia come fosse un romanzo di amore e di morte, una fiction drammatica buona a bagnare i fazzoletti, una vicenda non meritevole di condanna (sociale innanzitutto) in cui il Bene e il Male perdevano d’identità, finivano per imbastardirsi e confondersi, distinti soltanto da un filo sottile.
Ma, al di là della storia di Acciardi, alias Michele Rende, vera protagonista del romanzo è la lotta contadina, quella che vide le stragi di Portella della Ginestra e di Melissa e approdò, nel 1950, alla riforma agraria di De Gasperi che nei fatti, al di là delle intenzioni, finì per non agevolare affatto gli agricoltori e il Sud contadino in genere.
Vera protagonista è la rassegnazione e l’indolenza di chi ha perso la speranza nel cambiamento, ma allo stesso tempo riesce ancora a infiammarsi nell’ascoltare le parole di chi, come Michele, instilla goccia a goccia un concetto di giustizia ed equità sociale scevro dalle menzogne di chi comanda.
Veri protagonisti sono il sopruso, la vendetta, l’odio, l’immobilismo, le leggi arcaiche degli uomini che finiranno per affermare le loro ragioni prima ancora delle leggi dello Stato e firmeranno la condanna non solo di un uomo, il brigante, ma di un’intera classe sociale, segnando la sorte della lotta di classe e delle trasformazioni socio-economiche del Sud Italia.
Perché dal torpore ci si può anche svegliare e qualcuno proverà anche a farlo, ma per quanto tempo prima di tornare a dormire?
Il brigante, Giuseppe Berto, Neri Pozza, 2022, pagg. 336