SPARTENZE: le tracce degli uomini

Sine Pagina - SPARTENZE le tracce degli uomini
Opera di Mario Perrotta, per gentile concessione dell’artista.©Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata

Racconto di Antonella Perrotta

Cento abitanti erano rimasti a Cozzicello. Autoctoni, almeno.

Poi ce n’erano altrettanti, uomini per lo più, neri di pelle e dai lineamenti marcati, dei pezzi di marcantonio che, al solo vederli, ti mettevi soggezione. Venivano da chissà dove, al di là del mare comunque, da postacci dove, a sentir loro, l’acqua, quando c’era, aveva il colore della terra e la terra quello giallognolo della sabbia fine e l’aria sapeva di polvere da sparo e solo il cielo aveva più stelle che altrove. Chissà perché. Forse, perché chi viveva lì aveva più bisogno di sognare.

Ad ogni modo, loro non facevano testo. Erano soltanto forestieri.

Non erano nati, cresciuti e pasciuti in paese come gli altri cento. Non parlavano la stessa lingua, non credevano nello stesso Dio, non avevano gli stessi costumi e avevano conosciuto una fetta di mondo, bello o brutto che fosse, che gli autoctoni non avrebbero neanche potuto immaginare, ammesso lo avessero voluto. Perché, per immaginare qualcosa, non solo ci vuole la capacità, quella che viene dal riuscire ad aprirsi a ciò che sorpassa i confini dell’avvezza esistenza, a credere che ci possa essere qualcosa di diverso e si possa anche diventare diversi, ma ci vuole pure la voglia. E per i paesani di Cozzicello, stremati di fatica e di vecchiaia e, ancor più, di secolare abitudinarietà, immaginare era soltanto uno spreco di energie. Faccende ben più pratiche li tenevano impegnati.

Come quella di trovare qualcuno che, a basso costo e senza pretese, li aiutasse nei campi, ché quei malanova di figli e nipoti, a differenza loro, s’erano tutti arresi all’immaginazione e avevano preferito le incertezze della spartenza alle certezze del paese.

“Ah, illusi! Come se fuori da qui si stesse meglio …” aveva detto Oliverio Campise, che faceva da sindaco e da intera amministrazione comunale, quando l’ufficiale dell’anagrafe gli aveva comunicato che, ormai, erano emigrati tutti e solo in cento restavano.
“Magari, no. Magari, sì”, la risposta dell’impiegato. Perché negarsi una speranza? “Eh, già, perché?” aveva risposto il sindaco, ma tanto per dir qualcosa.

A risolvere il problema, dell’aiuto s’intende, erano giusto in tempo arrivati loro: i marcantonio forestieri. I requisiti li avevano tutti. Uno in particolare: la disperazione che li portava ad accettare la qualunque, salario, orario di lavoro, sistemazione, pure l’indifferenza. Senza pretese, appunto. E al fatto che si trovassero lì per andare appresso alle incertezze dell’immaginazione – così come, altrove, si trovavano quei malanova di figli e nipoti – nessuno pensava.

Nessuno, eccetto Rosina Sposito, la matta di Cozzicello, quella che dava ricovero a cani, gatti, pure uccelli, e camminava leggera con la paura di calpestare persino le formiche. Quella che era rimasta da sola, tutti andati via i suoi familiari di cui diceva, però, di continuare a sentire le voci.

“E che ti dicono le loro voci, Rosi’?” qualcuno le chiedeva.
“Di andarmene a fare in culo” rispondeva lei e tutti ridevano.
Era matta, Rosina.  Ma lei, con gli occhi lucidi, pensava che i figli, i nipoti, i fratelli, che l’avevano lasciata da sola e non s’erano quasi più fatti vedere e sentire, se non una telefonata alle feste comandate, a fare in culo, l’avevano mandata davvero. Non era stata fortunata.

I marcantonio forestieri, invece, no. Loro, alle famiglie, ci pensavano e sospiravano, sospiravano sempre, al pensiero di chi avevano lasciato e di ciò che erano stati costretti a diventare. Per questo Rosina, in quegli occhi neri e profondi, vedeva la verità degli uomini o, almeno, quello che avrebbero dovuto essere ma avevano dimenticato e, per questo, dava loro ricovero, come faceva con gli animali. E a chi la rimproverava, ché chissà mai cosa ci si può aspettare da estranei, ricordava che una spartenza è sempre un dolore.

Una spartenza è sempre un dolore.

Ma ci sono alcune spartenze che ti fanno dimenticare ciò che hai lasciato, luoghi, cose, persone e pure la disperazione che ti ha indotto a partire. E, queste, non sono spartenze ben riuscite. E poi ce ne sono altre che, invece, ricordano tutto e lo rivivono ogni giorno.
E sono queste, le spartenze che hanno memoria, quelle che non fanno perdere le tracce degli uomini.

Ma Rosina era matta. Camminava leggera per non calpestare le formiche

Già su BorderLiber, 2021

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Chi sono

Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.
Se ti va, puoi seguirmi sui miei profili social.

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Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.

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