Racconto di Antonella Perrotta
Ricordi?
Ricordi i pomeriggi al fiume a guardar passare le anatre. Stavano a coppia, sempre in due, indossando i loro colori, più sgargianti il maschio, meno la femmina. Sanno corteggiare, gonfiarsi, dipingersi, danzare, gli animali per farsi notare dalla loro femmina. In fondo, lo fanno anche gli uomini. Non tutti gli uomini sanno danzare, però. Per quello bisogna essere sinceri sempre.
Ricordi?
Ricordi, c’erano anche i granchi, quelli da un passo avanti e due indietro. I ragazzini li catturavano per mangiarli, tu pensavi che fosse l’unica sorte che meritassero quella di essere mangiati ché è da stupidi tergiversare così, avanti e indietro, come se non si sapesse mai dove andare, cosa sia meglio fare. In fondo, lo facciamo anche noi uomini a volte, dimenticandoci che il tempo è una delle poche cose che ci appartiene, dimenticandoci che il tempo sa scorrere più veloce di noi. Incurante di noi.
Il mare era grosso, a volte, ricordi?
Le onde arrivavano al muretto, quello del lungomare, e tu rannicchiato ai suoi piedi, con la salsedine tra i capelli, sul viso, sulla lingua, sulla pelle. La lasciavi addosso tutto il giorno come una gioia che si vuole trattenere, come tutte quelle gioie che non vorresti si perdessero nel labirinto dei ricordi, ché sanno essere rosa e spina, i ricordi.
I freni della bicicletta stridevano sull’asfalto, slittavano le gomme sulla terra e sulla sabbia. Le ginocchia erano sempre croste insanguinate, i capelli accarezzati dal vento, l’euforia della corsa era la tua. Anche sulla strada era sempre una corsa, mentre il motore aumentava i suoi giri, mentre dicevi che forse ti saresti schiantato, forse no, ma alla corsa non sapevi rinunciare. Alle discese, alle salite, alle soste su piazzole solitarie, in un’auto, la tua di fianco alla sua, mentre uno sportello si apre e poi anche l’altro. Eccoci, è finita la corsa. Siamo qui, ora. Insieme, ora.
Ricordi?
Ricordi giornate di sole tra i turisti in gita, turista anche tu con la testa altrove, affamato di bellezza, indifferente alla bellezza. Quanto un giorno di sole può essere diverso dall’altro, quanto diverso un momento. E poi un guizzo, una fitta dentro, come una lama di luce che porta calore e annienta la consapevolezza. Non sei tu, sei l’altro, sei la bellezza intorno. Ed è un attimo.
Il santo vegliava su di te, su di noi, sulla città. Vegliava e tu speravi vegliasse davvero, t’inginocchiavi dinanzi al suo simulacro, gli parlavi come a un amico. “Dimmi, cosa sarà di me? Sia fatta la tua volontà”, ma la sua volontà non la accettavi, non dire stronzate, era la tua che volevi si realizzasse e chiedevi soltanto che lui la realizzasse. Con quale forza, con quali mezzi, non lo sapevi neanche tu. Però, chiedevi e prendevi in giro lui e prendevi in giro te stesso … “Sia fatta a tua volontà. Così sia”, ma meglio non lo sia. Preferisco la mia, di volontà.
Sei sempre figlio di qualcuno, non incudine del figlio di qualcun’altro che ha dimenticato di essere figlio e anche padre. Uomini dal cuore grande – quale la dolcezza delle loro parole! Quanta l’emozione nei loro occhi! – giacciono inermi sotto il peso della vita, giocano consapevolmente con l’altrui animo mentre il loro muore dentro. Dimentichi di essere padri, dimentichi di essere stati figli, dimentichi che la sorte può voltarsi e iniziare con loro lo stesso gioco crudele cui hanno sempre giocato, sanno farsi martello.
Lacrime scendono, solcano la pelle, restano un po’ e poi evaporano, si seccano per tanto, troppo tempo, ma poi ritornano a liberare dalla colpa della felicità ché si è colpevoli quando si è felici. Per questo la felicità dura poco. Perché tu possa liberartene in fretta, dimenticarla in fretta, salvo non dimenticarla mai ché nulla riesce a travolgere l’attimo, quello resta come uno schizzo su una parete di epigrafi a futura memoria.
Cammini. L’aria ti avvolge, il tempo ti attraversa, si lascia vivere. Un orizzonte davanti contiene isole e arcipelaghi di parole non ancora pronunciate, di sguardi non ancora rivolti, di note non ancora suonate, di giustizie e ingiustizie non ancora consumate, di bilance probabilmente squilibrate.
Un orizzonte blu. Blu come il cielo sopra di te con queste nuvole rade che sembrano dirigibili sospinti dal vento. Mutano forma, proprio come te. Mutano direzione, proprio come te. Sono pronte a gonfiarsi, a dissolversi, a salire più in alto, a schiantarsi, a sciogliersi. Proprio come te.
Cammini e ricordi.
Cammini.
Non fermi il passo.
Continui a camminare.