Per amor di Patria. Parte terza

Sine Pagina -Per amor di Patria - Parte terza
Immagine di OpenClipart-Vectors da Pixabay, realizzata con Canva App (contenuto gratuito)

Racconto di Antonella Perrotta

Lasciai l’hotel senza di lei, la mia Monna Lisa.

Pensai che un giro per la città mi avrebbe fatto bene, sebbene l’aria fosse pungente e la gente affollasse le strade. In realtà, mi sentivo solo. Strano a dirsi, pure solo a pensarsi, ma il ritratto di quella sconosciuta bellissima, così misteriosa e indecifrabile, così lontana nel tempo da potersi dubitare persino della sua stessa esistenza, mi aveva tenuto compagnia per due lunghi anni e, pure se era soltanto una tavola dipinta, era riuscita a trasmettermi delle emozioni vive, reali, al punto che avevo finito per considerarla la mia coinquilina. Una coinquilina splendida e segreta come un’amante, ma al tempo stesso romantica, più di un’amante.

Pensavo a questo, mentre percorrevo le vie di Firenze e, ancora una volta, quasi fosse il filo conduttore della mia vita, lasciavo che le meraviglie dell’arte mi stordissero con la loro eterna bellezza.

Alla sera, mi rifugiai nella mia stanza d’albergo e mi misi a letto col pensiero rivolto al domani, a quando avrei avuto notizie della Gioconda. Mi addormentai quasi subito, d’un sogno pesante e ferrigno che annullò i pensieri.

Poi, d’improvviso, qualcuno bussò alla porta. Un colpo secco, invadente, prepotente che non mi lasciò il tempo di rendermi conto di ciò che stava accadendo.

Carabinieri. Li vidi entrare nella stanza col passo pesante e lo sguardo penetrante di chi, oltre al corpo, vuole costringerti anche l’animo, come se sapesse per certo cosa vi sta dentro e vi vedesse solo male e peccato. Rimasi stordito mentre mi mettevano i ferri ai polsi come fossi un assassino recidendo ancora una volta tutti i miei sogni e le mie aspettative.

La mia Gioconda era autentica, questo era stato appurato, e io non ero altro che un ladro di opere d’arte che, magari, aveva agito su commissione di qualche facoltoso collezionista o di qualche truffatore. Anche questo avete scritto, miei cari giornalisti, che vi siete presi oggi la briga di attendermi qui, fuori dal carcere.

Ma io non sono un criminale e neanche un mentalmente minorato come è stato sostenuto nel corso del processo in cui – sapete bene – non ho potuto neanche farmi assistere da un avvocato di fiducia e mi sono dovuto accontentare di uno d’ufficio perché non avevo una lira in tasca.

Non ce l’ho neanche adesso, una lira in tasca. E neanche un lavoro ho più. Ricordatelo bene, però, voi giornalisti e non solo: marciranno le tegole del tetto, ma il mio nome rimarrà scolpito nei secoli! Perché io, Vincenzo Peruggia, sono l’uomo che ha riportato in Italia la Gioconda, seppure – ahimè –  per poco.

Dovete riconoscerlo, è solo grazie a me se il dipinto è stato esposto agli Uffizi a Firenze, a Palazzo Farnese e alla Galleria Borghese a Roma, prima di riprendere il solito posto al Salon Carrè, al Louvre. È stato grazie a me che molti italiani hanno potuto ammirare l’amata Gioconda che, altrimenti, non avrebbero, probabilmente, mai avuto modo di vedere da vicino. E cosa ho guadagnato io da tutto questo se non sette mesi di carcere e delle misere accuse?

Ma ora non vi consento più di definirmi un ladro. Sono un uomo a modo, come pochi ce ne sono, io. Un uomo che ama il suo Paese e tutto ciò che lo rappresenta e gli appartiene. Un uomo che ha agito per amor di Patria, ricordatelo e scrivetelo sulle pagine dei vostri giornali.

E con questo vi ho detto ogni cosa. Vi ho raccontato la mia verità, quella che vorrei tutti conoscessero. Lasciatemi alla mia vita, ora, anche se non dimenticherete presto il mio nome. Lo so io, ma lo sapete bene pure voi.

§

Lascio i giornalisti coi loro taccuini stretti fra le dita delle mani. Mi avvio sotto il sole cocente di questa splendida giornata diretto non so neanche io dove. Questa volta è un gruppo di ragazzi a venirmi incontro. Mi chiedo cosa vorranno.

“Signor Peruggia, abbiamo fatto una colletta. Saremmo felici se lei accettasse questi soldi. Sono a nome di tutti gli italiani” mi dice uno di loro e me li porge. “Non sono molte, quattromila e cinquecento lire soltanto, ma le torneranno comunque utili per tirare avanti giusto un po’” continua e mi concede un sorriso un po’ imbarazzato.

“Chi siete voi altri?” chiedo, coi soldi nel palmo della mano.

“Studenti. Studenti toscani” risponde un altro giovane dall’espressione sveglia. “Signor Peruggia, non la prenda come un’offesa. Noi abbiamo capito il suo gesto e lo hanno inteso anche molti altri, sa? Perciò, con queste lire, vogliamo significarle che le siamo vicini, come pure gli italiani. Le tenga, per favore.”

Infilo quei soldi nelle tasche della giacchetta e non riesco a rispondere altro che un biascicato grazie. Vedo gli studenti allontanarsi, allegri e ubriachi di gioventù e penso alle loro parole e alla generosità del loro gesto.

Non so cosa farò adesso, ma sento che il mio cuore si sta sciogliendo. Perché, ora, ho la certezza che Vincenzo Peruggia, per gli italiani, non è un criminale. Pure se gli hanno fatto fare la galera.

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Chi sono

Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.
Se ti va, puoi seguirmi sui miei profili social.

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Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.

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