Li vedo salire su per via dei Gelsi, il padre un passo avanti al figlio, a tirarlo un po’ per la mano, tutti e due leggermente affannati, così almeno pare.
Iniziano a cadere le prime gocce di pioggia, il padre si ferma, lascia per un attimo la mano del figlio per aprire l’ombrello. Il figlio si accosta al padre, spalla contro spalla, il fianco appoggiato, come avesse paura che anche staccarsi per un istante solo sia un abbandono definitivo.
Sono vestiti tutti e due in maniera dignitosa, puliti, solo un po’ antichi, fuori moda nei loro cappotti di stoffa color nuvola scura, tutto tinta su tinta, scarpe e calzoni, cappotto e cappello. Quello del padre è un vecchio cappello a tesa stretta, il figlio porta un berretto foderato di pelo con i paraorecchi alzati.
L’ombrello è aperto, il padre lo regge con la mano sinistra e riprende nella destra la mano del figlio, riprendono a camminare, con l’epressione intenta e concentrata di chi sa che anche camminare può essere un rischio, può essere un impegno.
Si fermano al bordo del marciapiede, tocca al padre guardare se arrivano automobili prima di attraversare la strada; il figlio continua a guardare davanti a sé, si affida a suo padre, nella sua mano, nei suoi occhi, nell’ombrello a ripararsi dalla pioggia.
Il padre avrà più di ottant’anni, sulla faccia i solchi tracciati dalle rughe, dove sono scritte le fatiche e il dolore di una vita passata a dare la mano a suo figlio. Il figlio ne avrà cinquanta, forse meno, gli occhi che nascondono il lampo di una vita che non riesce a uscire, di una vita tanto nascosta da pensare che non sia mai nata. Tiene la bocca semiaperta, le labbra umide e la lingua che sporge, grossa, gonfia, come un perenne sberleffo al mondo.
Un mondo cattivo che per tutta la vita si è preso gioco di lui.
Scatta il verde, devo andare.
Non posso non pensare a stasera, quando si ritroveranno soli nella loro casa. Il padre forse a chiedersi per l’infinita volta quale sia stata la sua colpa, quale il suo peccato, per quel figlio tanto sbagliato da doverlo ancora amare come fosse un bambino. Ad aspettare di chiudere gli occhi per dormire, per sognare, sperando di non morire, per non dover lasciare la mano del suo bambino troppo cresciuto. Il figlio che chiederà ancora una carezza, ancora un bacio, che chiederà a suo padre di raccontargli ancora una storia, una favola prima di dormire. Poi sognerà la passeggiata del giorno dopo, da fare dando la mano a suo padre, anche se pioverà. Tanto papà aprirà l’ombrello e non si bagneranno.