“Si stenda, signora” dice l’infermiere col camice verde e il tono intollerante. “Quale occhio è?” domanda e segna con un pennarello viola la mia fronte in corrispondenza dell’occhio da operare.
“Lo sa che occhio è. Lo ha appena marchiato …” rispondo.
“Non faccia la spiritosa. Lo dica, signora.”
“Sinistro, va bene?”
“Ecco, brava. E da ora in poi non parli più. E non si muova, braccia e mani giù, gambe e testa dritte e ferme, guardi verso la luce, la vede? Quella grande sopra di lei. E ferma col braccio ché scappa la flebo. Zitta e ferma e guardi la luce, faccia la brava, su!”
“Ho freddo” dico.
“Cosa le ho appena detto?”
“Sì, zitta e ferma ché scappa la flebo, guardi la luce grande, ho capito. Ma ho freddo, sa …” provo ad impietosirlo, ma avrei voluto urlare: “Ho freddo, cazzo!”
Mi stende addosso un telo verde. È sottile, è leggero, ma è caldo. Almeno, un po’ di tepore addosso, ché le sale operatorie sono fredde. Freddissime. Contro i batteri, pare. Ma così non si capisce se tremi perché stai gelando o perché hai paura. “Grazie …”
“Ora zitta, però!”
Faccio un respiro profondo per provare a rilassarmi. “No, no, signora. Non faccia respiri profondi. Respiri con la bocca e, soprattutto, respiri piano.”
“Per non far rumore …” mi viene da dire. “Chiedo scusa, sa … ma me lo ha proprio tirato fuori.” Sì, sto zitta, ferma, guardo la luce grande, respiro piano e con la bocca. Mi prude il naso, ma non posso grattarlo. Ho una specie di super maschera sul viso che lascia scoperto soltanto l’occhio da operare. La luce in alto sembra una minaccia. Gocce, gocce e gocce. Piovono gocce anestetizzanti sul mio occhio. Sento comunque che viene spalancato, bloccato e lasciato scoperto. Che razza di anestesia è questa se mi fa sentire tutto?
“Signora, sentirà tutto tranne il dolore” dice il tipo. Mi ha letto nel pensiero, che bravo! Immagino il mio occhio di fuori come quello di un zombie e uno zombie mi sento, stesa su questo lettino d’acciaio, sotto queste luci, immersa in un freddo che mi ricorda il frigorifero di una macelleria. Ferma, zitta, guardo la luce grande, respiro piano con la bocca. Ora a prudermi è il dito del piede sinistro. Lo gratto col destro.
“Signora, cosa le ho detto? Non deve muoversi, ha capito? L’occhio è piccolo, sa? Basta un niente per sbagliare! Vuole restare cieca, mi dica? Questo vuole?”
Consolante, il tipo. Lo so che l’occhio è piccolo, eh! Se poi il chirurgo sbaglia non sarà di certo per il mio prurito a un dito del piede! Che non si inizi a trovare una scusa! Qualcuno ha paura di sbagliare, per caso, qui? E, poi, come avrà fatto ad accorgersi che stavo grattandomi un piede con l’altro? Un movimento infinitesimale sotto il telo ho fatto. Infinitesimale, giuro.
Ferma, zitta, guardo la luce, non devo grattare il dito del piede. S’inizia. Luce blu, luce grigia, luce gialla … Uuuh! Quante luci colorate dentro al mio occhio! Uh, uh … Girano … No, no, così è una tortura, però. Ferma, zitta, respiro piano, mi viene da vomitare.
“Dissolvimento”
Chi cazzo ha parlato?
“Bli, bli, blin, blind …”
Blind? Ma chi diavolo è questo uccello del malaugurio? Chi sta parlando? Oh, toh, mi sa che è quel robottino che ho visto prima di stendermi come un cadavere. Sì, è la voce di un robottino … Mi arriva acqua nell’occhio, cola sulla faccia fin sotto la super maschera, sul collo, sulla nuca. Acqua, luce, sto ferma, zitta, respiro piano per non far rumore, non gratto il dito del piede. Silenzio ora. Che succede? Perché “lui” non parla più?
“Rimozione effettuata.”
“Abbiamo finito.” È la voce del chirurgo. “Ha visto, signora? Mezz’ora appena e abbiamo fatto tutto!” A parlare, adesso, è l’infermiere. Mi strappa via dal viso la super maschera e dalla testa la cuffietta che copre i capelli. Poi, sigilla con una benda l’occhio operato, il sopracciglio sinistro, il naso, mezza gota e pure un po’ dell’altro occhio. Pure Capitan Harlock stava messo meglio. Dio, soffoco … Sento che l’infermiere estrae l’ago dal braccio e mi libera dalla flebo. “Ce la fa a scendere, signora?”
“Resto qui secondo lei?” rispondo e mi sollevo. No, mi sa che non ce la faccio. Non vedo nulla e mi gira la testa. Dio, mi manca l’aria. Soffoco, sì.
“Si regga a me. Così, prima un piede, poi l’altro. Ecco le sue ciabatte. Su, andiamo!”
“A mietere il grano …”
Mi aggrappo a lui. Lo sto odiando, ma mi aggrappo lo stesso al suo braccio. Non ho scelta, d’altronde. È finita. Fra qualche giorno dovrei avere una vista da lince.
E invece è passata una settimana. Ancora vedo poco e male, ombre deformate e poco più. “Possibile? Sarà colpa del malocchio” dice mia nonna.
“Certo. Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio …” E mi è scappata pure questa. No, il malocchio, o mal-occhio, non c’entra. Sarà tutta colpa del prurito al dito del piede?
Già pubblicato parzialmente Sulla Quarta Corda Rivista