Racconto di Cristina Simoncini
È il pomeriggio di una primavera che sta per finire, e se guardi fuori dal finestrino lo capisci dalla luce, quella che ti sfiora lo zigomo, un po’ meno obliqua, e dagli uomini che vedi nei campi, nelle colline che non vogliono scomparire e allora diventano orti o pessimo vino o allevamenti di struzzi. E adesso siamo qui, e c’è l’illusione, la fitta quasi dolorosa di essere tornate a prima, senza la malattia senza le cure senza i giorni contati senza quei tanti chili di meno, e tutto fa male perché non funziona e chissà, forse vorrei essere a dopo, guai a pensarlo però.
Guidi, ogni tanto ti osservo e mi sembri serena, un po’ troppo al centro della strada, ma quello è un buon segno, è spazio che ritorna tuo, tarato con ottimismo, per andare in paese da qui troveremo solo due gatti, lo sai. Non è cambiato nulla, magari ci credi, anche se è cambiato tutto.
Comunque, quello che deve accadere accadrà, e questo è un tempo che non si spiega. Non ricordi se hai spento il fornello, il fornello con il tegame dove cuoce l’arrosto, ti pare di sì. No, hai abbassato la fiamma. Questione di secondi, di concentrazione, in fondo non facciamo che trattenerci come sciocchi su un limite. Le cose non sono stabili, della materia grezza del vero, ti abituerai.
Poi succede una cosa, in pochi istanti e non so decifrarli, una paura senza suoni che si stipa nel petto. Tutta quella velocità. Il tuo scarto di lato, la reazione pronta, la macchina in senso contrario che si affaccia in curva sulla nostra corsia, sbanda, perde il controllo, due persone, ci pare, in quel frammento di angoscia che ci inchioda lì. La macchina è finita su un dosso di terra dura, chissà da quanti giorni non piove, si è impennata, un’acrobazia in aria ed è atterrata sulle ruote, nel senso di marcia, abbiamo visto dallo specchio il volo sottosopra, col fiato sospeso. Il dubbio è che ci abbia sfiorate, e poi la carambola.
Esce del fumo dal cofano, i due nell’abitacolo si muovono, sono giovani, un’altra auto in senso opposto si è fermata, qualcuno si è messo a parlare con il conducente. Niente di grave, ti sei soffermata appena, una manciata di secondi, poi hai proseguito, con la luce che adesso non ti sfiora più lo zigomo, è calata dietro le spalle, fuori non c’è nessuno che bada agli orti, e tu sei di nuovo serena, non hai avuto bisogno di assicurarti che i due stessero bene, di vedere da vicino. Di capire com’è andata.
Una mossa che non è da te però, non lo avresti fatto prima, allora c’è un prima, e ora invece siamo in quel tempo sospeso, con le lacrime da piangere dei vivi senza prospettiva. Hai mollato la presa sul futuro, lo hai capito che non rimarrai, per questo non torni indietro, dai ragazzi che hanno sfiorato il tuo limbo.
Conta il tuo daffare, le cose piccole, il fornello acceso e lo stare un po’ al centro. I modi del congedo, guardare dal retrovisore. Canticchiare con un filo di voce.
Nata a San Giovanni Valdarno (Arezzo), Cristina Simoncini è rimasta a lungo solo lettrice prima di cominciare a scrivere. Ha pubblicato poesie su riviste cartacee (Il Foglio Clandestino, Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria, Nova Rivista d’arte e di scienza) e su molti spazi virtuali, blog e riviste (fra i quali Avamposto, Limina Mundi, La rosa in più, Circolare poesia e altri).