Giù per le scale, affretto il passo.
La signora del piano di sotto è in agguato, col suo insaziabile bisogno di parlare, parlare, parlare sempre, ma al mattino non è proprio il caso. Esco dall’edificio in cui abito e mi avvio al lavoro, con l’intento di captare i segni che mi arrivano dal mondo. La fermata del 17 è già piena di studenti e lavoratori, è una corsa lunga, che porta alla periferia opposta di Firenze, passando davanti alle scuole più frequentate, davanti agli uffici del centro, ogni giorno cerco di variare i percorsi, trovare punti di appoggio per scrivere comodamente, i bauletti degli scooter sono tra gli oggetti più adatti, quando ne trovo uno mi fermo un attimo per scaricare i pensieri, se non mi svuoto un po’ alla fine mi ritrovo con un mare di appunti presi e tanto tempo in più da recuperare nell’ufficio dove lavoro, per cogliere la varietà di esseri che circolano per le strade della semiperiferia.
Ecco un altro bauletto, davvero comodo, mi accompagna in certi momenti la voce dolce di Waldemar Bastos, cerco di avanzare facendo attenzione ai piccioni che riempiono di regali inattesi e poco graditi i marciapiedi sotto le grondaie e le tettoie e, a volte, anche i vestiti o le teste dei passanti, mi districo tra le strade sporche di una città che non vuole crescere, tra fumi velenosi di auto e moto che assaltano da ogni angolo le case, le persone, le vie, insieme alle prime foglie di questo autunno che cominciano a tappezzare le strade e i marciapiedi, un televisore, una batteria di automobile alla base dei cassonetti, una ninfa che mi sfila davanti, una nera che attraversa le strisce pedonali, accelera il passo per prendere l’autobus. Anche i coperchi dei cassonetti dei rifiuti, benché luridi, si rivelano pratici per scrivere, del resto, quando viene l’ispirazione, non si può mica badare a questi particolari.
Qualcuno ha sradicato un albero dal cortile di casa, il tronco spoglio per terra, i rami con le rade foglie secche escono fuori da un altro cassonetto, mi ricorda un acrobata con le gambe per aria, è davvero un piacere lasciarmi scorrere addosso questa fresca brezza di inizio novembre, cullato dal fado declinato dalle nuove voci portoghesi.
Un cinque di cuori per terra e un modellino di veliero su un mobile illuminato da una vecchia abat-jour mi distraggono, un’anziana donna porta a spasso il cane che va pisciando sui pneumatici delle auto in sosta, devo stare attento ed evitare le merde lasciate in giro per la città, una fila di motorini parcheggiati come giocatori di calcio schierati per una foto ricordo, ancora una volta comodi per scrivere, senza badare alle marche, ogni bauletto è buono, li ho provati tutti, uno per uno, non vorrei trovarmi nella spiacevole situazione di scrivere di cose non vere senza averle prima sperimentate.
Resti di vomito rosso della notte appena trascorsa incorniciano vecchie biciclette attaccate da anni ai pali della luce, saracinesche arrugginite di negozi ancora chiusi, grossi cartelloni pubblicitari annunciano imperdibili occasioni di risparmio e straordinarie forme di bellezza, segnali di strade dissestate, un murale vicino al viadotto della ferrovia delinea la città del futuro, con esseri mostruosi a spuntare tra case, strade e monumenti rinascimentali, alieni provenienti da pianeti distanti, nel tempo e nello spazio, una piovra assedia con i lunghi tentacoli la quotidianità di un’esistenza che stenta a emergere da morte vestigia di un pesante passato, difficile da scrollarsi di dosso.
Ricoveri occasionali di espatriati sotto le massicce mura della Fortezza da Basso, nascosti fra alberi e alte siepi incolte, altri, più evidenti, alla luce del sole, un sole necessariamente freddo, sotto gli occhi di tutti, indifferenti, intere famiglie su materassi raccattati qua e là per le discariche cittadine, lacere coperte rimediate ai lati di provvidenziali cassonetti della spazzatura e chissà cos’altro, non si bada molto all’accostamento dei colori, sono altre le cose che interessano, all’esterno del tempio delle sfilate di moda.
Un cane attratto dal rosso vivo di alcuni stracci, riposti al lato del giaciglio improvvisato, vi scarica le prime merde del nuovo giorno, accompagnato dalla padroncina disgustata, infastidita, nauseata dallo spettacolo a cui si trova ad assistere in queste prime ore del giorno. Appelli in varie lingue sui muri della città, sui tronchi degli alberi, sui pali dei lampioni, chi cerca una casa, un letto, un rifugio, chi un lavoro, qualcosa per vivere, un gattino spiaccicato per terra, uno solo, dietro l’angolo di un edificio, da quale piano sarà stato scagliato o precipitato? Mi guardo attorno, ce ne saranno altri?Ormai sono passate le otto, gli operatori ecologici l’hanno dimenticato, forse non se ne sono accorti, occupati ad aiutare i volontari della Misericordia, intenti a portare via i resti di qualcuno che aveva deciso che era giunta la sua ora, non è difficile di questi tempi, e non solo a Buenos Aires.
E intanto procedo verso lo studio, l’ascensore già pieno dei profumi di quanti mi hanno preceduto.
Antonio Danise nasce a Reggio Calabria, ma si trasferisce per studio e lavoro prima a Milano e poi a Firenze, dove tutt’ora vive e lavora come impiegato pubblico. Ha pubblicato: Articolazioni (2023), romanzo a quattro mani con l’artista Costantino Giovine; La signorina Maria (Porto Seguro, 2021); Passaporto per Capo Verde (2008), raccolta di racconti sulle sue esperienze di viaggio a Capo Verde nel corso di sei anni.