di Antonella Perrotta
Te ne stai sdraiato sul divano al centro della stanza come fossi al centro dell’universo. Il cellulare fra le mani, la luce azzurra riflessa sul volto.
Se non il cellulare, é il PC a farti compagnia.
Attenuate le voci ti giungono dalla cucina, ti disturbano, scheggiano l’evanescenza dell’azzurro nel quale stai rannicchiato, convinto che tutto ciò di cui hai bisogno stia lì dentro, in quella socialità artificiale di cui giornalmente ti nutri. Stanno lì conoscenze, amicizie, amori, l’umano sentire che sembra scaldarti il cuore e magari pure il letto, ammesso riesca a materializzarsi con un po’ di pazienza, di perseveranza, di giusto accerchiamento.
Ogni like é un soffio al cuore, un respiro di vita in più, una gratificazione che ti fa sentire compreso, apprezzato. Un punto che occupa spazio nel nulla che macera in te.
Cosa c’è di meglio che sentirsi nel cuore delle persone che non hai visto mai?
Non hai responsabilità, nessuno ti chiede qualcosa, non sei tenuto a preoccuparti, a interessarti veramente dell’altrui vita. Sei là, col culo sul tuo divano, con le voci familiari che ti giungono dalla cucina.
C’è vita per strada.
Ci sono voci, parole, sorrisi, sguardi dentro e fuori dalla tua porta.
Non li vedi.
Non li senti.
Non te ne accorgi neanche.
Ogni presenza é ingombrante, gravosa, minacciosa.
Lasci che il tuo mondo si restringa nella convinzione che sia immenso. Pensi che il tuo cuore batta al ritmo dei tasti, si emozioni, si frantumi e si rifletta nelle tante, minuscole, schegge di vita altrui che diventano la tua.
Sei libero nell’altro mondo. Libero di scrivere, dire, apparire e proporti per come vuoi. Lasci il cappotto appeso nell’appendiabiti all’ingresso, ti dimentichi di chi sei. In fondo, chi sei è come vuoi far credere di essere, come puoi far credere di essere in quel mondo lì.
Pensi d’ingannare la solitudine mentre vi dai nutrimento.
Sei solo, ripetitelo. Ripetitelo all’infinito.
Poi esci fuori, respira, dai un calcio a un pallone e, calciando, cresci.
Calciando, vivi.