Si vede che non era destino. Daniele Petruccioli e le paure di una madre

Si vede che non era destino
Recensione di Antonella Perrotta

Maria è una ragazza di quattordici anni spaventata da tutto. Si sente piccola, lo ripete spesso: “Io sono piccola, troppo piccola per il mondo”. Ma, in fondo, è il mondo a essere “troppo grande per tenerlo tutto dentro” e piccoli lo siamo tutti.

Maria si sente diversa, malata forse, perché soltanto lei vede l’argento che, dalle foglie dell’ulivo grande di fronte casa sua, la sommerge, le mozza il fiato, la trasporta in “un mondo morto e brillante, solido” da cui i suoi genitori hanno sempre voluto salvarla. Perché “è pericoloso non saper distinguere la fantasia dalla realtà”: così, le dice suo padre.

Maria sente le voci di bambini, i suoi bambini li chiama, “gli amici bambini della sua pazzia”, ridanciani spesso, silenziosi a volte. Le stanno dentro, non la lasciano mai da sola. Così come lei esce dal mondo reale per calarsi nell’irrealtà dell’argento, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue paure escono da lei per farsi voci di bambini che le giocano intorno. Maria prova a metterle a tacere, prova a non lasciarsi travolgere dall’argento, a non far preoccupare i suoi genitori. Prova a guarire dalla sua malattia e a essere come gli altri. Come tutti. Ma lei è così: “sconnessa, molteplice, argentata.

Maria è la sposa di Giuseppe, “un uomo dolcissimo” che le chiede di sposarla con “la gola chiusa”. Con lui, non si sente troppo piccola perché sa che Giuseppe ama la sua diversità, non vuole che cambi, non vuole che sia meno sbagliata. La ama tanto da accettare che lei aspetti un figlio che non è il suo e che promette di amare come se lo fosse. La ama al punto da credere che sia figlio dell’argento. Perché l’amore è fatto di fiducia e comprensione e accettazione dell’altro. Questo è il vero amore.

Maria è una madre. Come tutte le madri nutre i suoi dubbi, si alimenta delle sue paure, teme la sua inadeguatezza. Si chiede se riuscirà “ ad avere la forza, da sola, per accogliere” suo figlio. “Un figlio è sempre un mondo troppo vasto. Chissà se anche alle altre viene, a volte, voglia di scappare” pensa. E le paure di Maria sono tanto più grandi quanto più grande è la specialità di suo figlio. Del suo Ieshua.

Ieshua cresce in un mondo solo suo, insegue se stesso, proietta il suo sguardo lontano, comprende l’incomprensibile agli altri, “vuole essere tutti gli uomini in un solo corpo.” È un figlio che traluce. Maria sa quanto può essere pericoloso essere speciali, glielo ha insegnato suo padre ché “gli ordinari, di solito, tendono a fartela pagare …”. Ma suo figlio non ha le sue stesse paure, non zittisce l’argento, non si nasconde, non si trattiene, sfida l’ordine costituito, sfida persino i sacerdoti del Tempio, si fa molti nemici e anche molti seguaci. Giovani e vecchi, anche molto poveri, bambini, donne – una in particolare, Maria, lo stesso nome di sua madre – lo seguono ovunque, bevono le sue parole. Sono piccoli, ma lui parla a loro come se fossero grandi. Parla loro “di leggi e di uomini. Parla di Dio …, di dolcezza e debolezza e fragilità, di lotta e di dolore, di lutto e di disperazione, di fuga e di paura … Racconta di fiori e di uccelli per parlare di rivoluzione”, di spada per parlare di ascetismo e di morale. Ieshua non insegna. Lui trascina. Trascina Dio in mezzo agli uomini.

Nelle pagine di Daniele Petruccioli dalla prosa ritmica, serrata, di frasi brevi che ti rimbombano dentro, il mistero divino si riveste di laicità per diventare il mistero degli uomini. E amore, dolore, paura, fragilità, coraggio, resistenza, violenza, solidarietà, tutto l’umano sentire viene fuori con delicatezza e profondità di penna. Proprio come le voci di quei bambini che stanno dentro Maria.

È Maria la voce narrante. Maria ragazzina, donna, madre. Non è la Madonna e suo figlio è semplicemente il frutto del suo ventre. Forse poche volte, forse mai, abbiamo provato a immaginare come si relazionassero fra loro, cosa pensassero e, soprattutto, cosa temessero. Il divino ha sempre travolto il lato umano e, invece, in questo romanzo è l’umano col suo mistero e le sue complesse fragilità a travolgere il lato divino, guardandolo come specialità.

Così, Ieshua non è il figlio di Dio: è il rivoluzionario armato soltanto di parole che prova a cambiare un mondo brutto, di uomini brutti e senza compassione che non capiscono veramente Dio. Ieshua è l’uomo solo che ama tutti gli uomini perché tutti sono importanti, perché tutti meriterebbero di andare in Paradiso, di sentire Dio vicino, di sentirsi meno soli. È l’uomo che non si sottrae alla morte, non le sfugge, chiede soltanto un abbraccio di sua madre, un ultimo abbraccio di una donna che accetta suo figlio come il suo Giuseppe ha accettato lei, per amore, soltanto per amore. Lo stesso di tutte le madri. Con la paura di tutte le madri. Con il dolore di tutte le madri, dolore che raggiunge il suo apice quando, trascinata dalla folla che acclama la morte di tre condannati, sommersa da “una violenza folle che non avrebbe mai detto esistesse”, Maria si chiede se suo figlio sarà fra loro.

Ieshua, il suo Ieshua, sarà riuscito nel proposito di rifare il mondo più bello? Magari, ci ha mostrato la strada. E magari, non l’abbiamo seguita. Magari, siamo rimasti tutti molto soli. Si vede che non era destino.

“Abbiamo sbagliato qualcosa. Bisogna che impariamo a fare tutto più bello.”  

Si vede che non era destino, Daniele Petruccioli, Terrarossa Edizioni, 2023, pag. 201

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Chi sono

Chi sono

Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.
Se ti va, puoi seguirmi sui miei profili social.

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Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.

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