Racconto di Antonella Perrotta
Ad ogni processione c’era lui. In prima fila.
Portava la croce di Cristo e stava pure tutto contento. Portare la croce in processione per Cenzino Mangano era un privilegio e una soddisfazione. Procedeva sorridente, concentrato, col capo eretto, le braccia ferme piegate all’altezza del busto, le dita delle mani strette sul legno, i passi cauti, ché mai si fosse detto che Cristo Signore ondeggiasse in processione come un ubriaco.
Era bravo Cenzino. Il migliore. Non l’aveva mai fatta sbandare, la croce. E la gente applaudiva, a lui per primo che stava davanti, e, soltanto poi, alla simulacro e alla banda.
Quando si muoveva in processione, Cenzino si scordava di tutto e di tutti, pure della miseria, della balbuzie, del figlio che se ne era andato in America e, addio, non era più tornato e di sua moglie Concettina che, anche se non era più fresca come una rosa di maggio, veniva ancora detta l’Allegra per via delle sue consuetudini libertine. Ché, poi, che Concettina gli mettesse le corna da sempre, pure prima del matrimonio, lo sapevano tutti fuorché Cenzino che a queste cose non badava. Quisquilie rispetto alla pena del Cristo in croce e allo spettacolo che, anche grazie a lui, di tale pena si soleva dare a ricordo del sacrificio dell’Uomo e del Figlio di Dio.
In paese, lo chiamavano ‘U Brigante, ma era questo uno dei rari casi in cui il soprannome non descrive la persona, non ne sviscera e rende plateali i vizi o le virtù. Era un soprannome a sfottò perché, di brigante, Cenzino non aveva neanche la calabresità. Era un trovatello, venuto da chissà dove, figlio di una profuga, ai tempi della Grande Guerra. Almeno, per quel che si diceva in giro. Pareva un mezzo tonto, in verità, forse per colpa del sapore di guerra del latte della madre o dei boati delle bombe che, da neonato, gli avevano disturbato il sonno.
Portò la croce per tutta la vita Cenzino ‘U Brigante. Croce di legno di chiesa e croce per davvero. La portò fino a settant’anni quando, d’un tratto, un Venerdì Santo, la croce sbandò, si piegò prima da un lato, poi dall’altro, fino a cascare a terra, sull’acciottolato in pietra antica, dritta sul suo corpo. La gente accorse, soccorse, ma non ci fu nulla da fare. ‘U Brigante era morto in processione e sorrideva di un sorriso beato.
“Aveva capitu tuttu da’ vita!” esclamò qualcuno, lì, tra la folla.
“E che aveva capito ‘U Brigante?” chiese qualcun altro.
“Che la croce appartiene agli uomini. Ognuno tiene la sua. E, allora, tanto vale portarla con orgoglio e col sorriso.”
A quelle parole, gli uomini si tolsero il cappello e le donne recitarono un requiem in memoria di Cenzino Mangano che brigante non era e, forse, nemmeno tonto.
Già pubblicato su BorderLiber, 2021