Racconto di Antonio Danise
Esmeralda conosceva le abitudini di Nando.
Sapeva che fin dalle 13.30 cominciava a prepararsi per uscire dall’ufficio e che, appena il quadrante dell’orologio segnava le 13.51, timbrava tra i primi il cartellino, per poi avviarsi a rapidi passi verso le scale, dopo aver attraversato il lungo corridoio, alle cui pareti figuravano ritratti sbiaditi di antichi burocrati ministeriali. Non amava quel posto, né le persone con cui si trovava, suo malgrado, a dividere le tante ore di lavoro. Trovava del tutto naturale, quindi, affrettarsi e scendere a piedi i cinque piani del vecchio edificio dove lavorava, piuttosto che fermarsi a chiacchierare con i colleghi, in attesa dell’ascensore.
Esmeralda sapeva che quella era l’ora in cui usciva dall’ufficio. Aveva imparato a seguirlo per tutto il percorso di ritorno, dal posto di lavoro fino a casa. Sapeva che, uscito in strada, inforcava la bicicletta, che legava sempre allo stesso cancello arrugginito, e imboccava la discesa verso il parco, tra automobilisti indisciplinati che non rispettavano i semafori, o che spuntavano improvvisamente dai passi carrabili senza fermarsi per dare la precedenza. Gli aveva suggerito tante volte di fare un’altra strada che, benché più lunga, almeno gli consentiva di scansare il pericolo rappresentato dalle auto e dall’eccessivo traffico, evitando così di inoltrarsi nelle nubi d’aria irrespirabili che non di rado si concentravano agli incroci.
A modo suo era prodiga di consigli e questo lui non poteva non riconoscerlo e, anzi, la ringraziava per le buone intenzioni. Non permetteva, però, che qualcuno si immischiasse nei suoi affari e continuava perciò ad agire di testa sua.
Esmeralda era scossa da un leggero brivido di inquietudine quando cominciava ad avvertire l’ineluttabile approssimarsi di Nando, quando cioè intuiva che stava attraversando la piazza, per inoltrarsi nel lungo viale alberato, prima di svoltare allorché scorgeva all’angolo la pizzeria di cui spesso aveva parlato.
Un giorno o l’altro ti ci porterò, le aveva promesso tante volte. Lei, però, non ci credeva più. Aveva imparato a sue spese quanto false fossero le parole di Nando.
Sapeva, infatti, che, una volta a casa, tutto sarebbe stato diverso, che sarebbe cominciata un’altra storia. Temeva il momento in cui Nando, salite di corsa le scale, entrava in casa sbattendosi la porta alle spalle, lasciandosi dietro i problemi di lavoro e tutto ciò che stava fuori, tutto ciò che non riguardava il mondo che si era costruito, per poter finalmente dare sfogo alla fantasia e manipolarla a suo piacimento.
Sapeva che quello era il momento in cui ricominciava a essere la vittima prescelta degli appetiti di Nando. Del resto, cosa poteva fare se non sottostare al suo gioco, sottoporsi ai suoi desideri, alle sue volontà, se quelle erano le condizioni per continuare a vivere? Cos’altro le restava se non assecondare i suoi istinti, abbandonarsi alle sue voluttà. Per riprendere a vivere soltanto quando, dopo un’altra notte di torture, di abusi, di eccessi, finalmente sazio, Nando ritornava in sé, perché neanche la fantasia lo soccorreva più nel soddisfacimento dei suoi desideri. Allora, il mattino seguente, la storia ricominciava anche per lui. Si rituffava nella triste monotonia di tutti i giorni, ancora una volta la solita bicicletta, ancora le mille giravolte fra i gas di scarico, le facce di circostanza con i colleghi di lavoro, i tanti caffè bevuti in fretta. Poi, conclusa un’altra giornata, la strada di ritorno, verso casa, in attesa di varcare, finalmente, quella soglia che lo introduceva in un altro mondo.
Un mondo in cui poteva liberamente fantasticare, giocare con lei, la sua Esmeralda, che era riuscito a creare meravigliosamente bella come sempre aveva desiderato.
Apriva la porta e si aspettava di trovarla, ogni volta fresca come la rugiada di settembre, ad attenderlo sulla soglia di casa, come si attende un raggio di sole dopo tanta pioggia, come si aspetta un sorriso dopo tanta tristezza. Così immaginava.
Ma questa volta Esmeralda non c’era. Era riuscita finalmente a sottrarsi alle catene che l’avevano relegata nelle morbose fantasie di Nando.
Quando la vide svanire rapidamente dietro la porta che un tempo gli aveva aperto un nuovo mondo, si rese conto che non avrebbe fatto in tempo a raggiungerla.
Ho bisogno di altre storie, si disse, come per giustificarsi.
Antonio Danise nasce a Reggio Calabria, ma si trasferisce per studio e lavoro prima a Milano e poi a Firenze, dove tutt’ora vive e lavora come impiegato pubblico. Ha pubblicato: Articolazioni (2023), romanzo a quattro mani con l’artista Costantino Giovine; La signorina Maria (Porto Seguro, 2021); Passaporto per Capo Verde (2008), raccolta di racconti sulle sue esperienze di viaggio a Capo Verde nel corso di sei anni.