di Antonella Perrotta
“Ninna nanna, ninna oh …”
E un bacio sulla fronte. Le coperte rimboccate. Il silenzio della notte. La pace del sonno di una bambina che crede si possano afferrare le stelle, metterne una in tasca e portarla dietro per sempre.
“Ninna nanna, ninna oh …”
E la voce è calda, carezza della sera, conforto e protezione. Il viso, rugoso. Bianchi, i capelli. Le mani, storte dall’artrite ma ancora solide.
“Ninna nanna, ninna oh …”
È la nenia di una nonna. E tanti i giorni passati, pochi quelli che le restano per cullare i sogni di una bambina.
“Ninna nanna, ninna oh …”
Se n’è andata quella voce. Soltanto la tempesta la riporta nelle sere d’inverno, quando l’aria grida di dolore e la pioggia scivola sul viso come lacrima agra.
Di sensazioni sono fatti i ricordi, fugaci quanto la vita di un uomo. Una fotografia è quel che resta e immagini che nulla diranno a chi verrà, ché transitorio è il tempo di ognuno e il domani non conserva memoria di chi non ha conosciuto.
“Ninna nanna, ninna oh …”
Le stelle sono sempre più lontane, ché distanza e tempo sanno farsi correlazione. Nessuna è stata afferrata né raggiunta e la tasca di colei che fu bambina è rimasta vuota. Vuote, le mani. Spoglie, le braccia. Più inquieto, il cielo. Più inquieta, l’aria che scruta e s’infiltra nelle pieghe di un particolare che possa offrire conforto.
Rimane una coperta nelle sere d’inverno, una voce che ritorna quando il cielo si fa tempesta e giorni tanti quanti ne sono trascorsi.