Recensione di Antonella Perrotta
“Vorrei che la memoria del passato rimanesse ben salda dentro di noi. Vorrei tanto che ci fosse qualcosa che eviti l’oblio.”
Nelle pagine di Il colore delle foglie d’autunno di Sergio Sinesi, edito da Il ramo e la foglia, rimbalza forte il tema della memoria, memoria storica e individuale, memoria greve, buia come bui sono i giorni di quel passato collettivo ancora, spesso inconsapevolmente, impressi nel nostro presente. Ancora, spesso inconsapevolmente, attuali.
L’autore rivive gli anni del fascismo, di quella sorta di esaltazione collettiva, frutto della manipolazione delle menti, che si era nutrita della speranza, andata delusa, di vittoria e di grandezza. “Il fascismo era corpo vivo, per il quale i giovani erano linfa vitale. Non si esisteva come individui pensanti per sé, ma come individui pensanti per il regime. … L’organizzazione del consenso iniziava sin dai primi anni di vita … Non vedevano l’ora di dare il loro contributo al fascismo” scrive.
Persino l’epurazione degli ebrei era vista come buona e giusta perché, come tale, accolta dall’ideologia nazifascista, e al servizio dell’ideologia stessa, giacché “Ogni dittatura ha bisogno di un nemico per esistere… avere un nemico distoglie il popolo dalle incapacità e dai soprusi della dittatura. E gli ebrei erano uno dei tanti nemici.”
Ma chi se ne rendeva conto?
In pochi avevano percepito la manipolazione del pensiero e la manipolazione della stessa versione della Storia, ché “… il concetto di Storia … è relativo o più correttamente è manipolabile: chi detiene il potere racconta la sua versione”; in pochi si erano resi conto di sostituirsi a Dio nel seminare morte, nel decidere chi, come e quando, dovesse morire.
La guerra è uno strumento di salvezza di popoli a discapito di altri, uno strumento di grandezza, di potere, in un machiavelliano fine che giustifica i mezzi. “… qualcuno si stava sostituendo alla morte per farne le veci. E l’uomo, quando si sostituisce ad essa, lo fa credendo di essere Dio, lo fa con le bombe, lo fa sterminando indiscriminatamente, lo fa urlando per coprire la sua vergogna.”
Qualcuno non se n’è accorto mai. Qualcuno non ricorda, o ricorda come meglio crede, ché anche la verità è manipolabile. Ce ne ricordiamo oggi? Ci ricordiamo dell’esistenza di chi non è potuto esistere sacrificato in nome di un’ideologia fallace tanto quanto l’uomo che l’ha partorita?
Affronta il passato, Sinesi, attraverso la storia di una famiglia ebrea legata da amore e amicizia a una famiglia fascista. Attraversa le consapevolezze e i sensi di colpa tardivi o i pentimenti mai consegnati alla Storia, attraversa il terrore della verità di cui si vorrebbe fare dimenticanza. Ma il passato non si può spazzare, perché “Il nostro vissuto ci condiziona, le pagine vuote che andiamo riempiendo sono conseguenza di quelle prime pagine che, volontariamente o meno, abbiamo riempito. … il nostro corpo è formato da strati di storie passate e veli di storie recenti che si depositano dentro di noi…”
E allora, per i protagonisti del romanzo, arriva il momento di scavare in questo passato per capire, per legare le frange dei ricordi, per scoprire nuove verità o, semplicemente, rivoltare quelle che credevano di possedere. Il momento è quello storico della caduta del muro di Berlino e quello personale dell’arrivo di un incartamento che richiede chiarezza. La loro è ricerca delle radici che “parte da un sentimento” perché “non ha importanza se una parte della storia ti è già nota, ciò che ami devi conoscerlo in tutta la sua interezza.”
In un viaggio dall’Italia fino in Svizzera e in Germania, la giovane protagonista, una musicista con l’amore per Schubert, fa luce sul destino di suo padre, ebreo, di suo zio, ex fascista, e anche sul suo e su quello di sua madre, su quei giorni di ieri che sono ancora oggi perché si portano nei geni, nel sangue, ma anche nelle implicazioni e nelle conseguenze che la Storia ci ha consegnato e che non possiamo, non dobbiamo, non dovremmo, lasciare andare nell’oblio. “… in che modo io potrei non appartenere più al mondo di ieri essendo quello l’argilla che è l’essenza del vaso che oggi sono?”.
“Non fare quello che abbiamo fatto noi, coltiva le tue speranze senza far male al prossimo”: mai come oggi, che assistiamo a una riviviscenza cruenta del passato, questo messaggio dovrebbe risuonare forte per smuovere le coscienze collettive, per abbattere le maschere e le menzogne delle false ideologie, per non trovarci, da un giorno all’altro, schiacciati al suolo come enormi kafkiani scarafaggi.
Vita e morte, presente e passato, oblio e ricordo, azzardo e consapevolezza, pace e guerra, su un letto di profonda amarezza, sulle note di un genio romantico, fra i colori delle foglie d’autunno che cadono per rigenerarsi a nuova vita senza dimenticare l’albero cui appartengono: su tutto questo si ferma a riflettere Sergio Sinesi. E le sue parole scavano, fanno male. Sono quasi monito.
“… un nome, una sepoltura, una pietra che qualcuno, passandole accanto, potrebbe leggere, sarebbe sufficiente questo a ricordare l’esistenza di chi non è potuto esistere.”
Il colore delle foglie d’autunno, Sergio Sinesi, Il ramo e la foglia edizioni, 2025, pagg.214