Recensione di Antonella Perrotta
Pierangelo Consoli con Salvarsi la vita, edito da Nuova Editrice Berti, ci regala un romanzo sulla vita, che continua e risorge nonostante i “senza”: senza la presenza di una madre e di un padre, senza comprensione, senza dialogo, empatia, manifestazioni d’affetto in famiglia. Quei “senza” che creano vuoto, silenzio, solitudine.
Arturo, il giovane protagonista voce narrante, deve convivere e fare i conti con questi “senza”. Si fa piccolo, muto, come per non disturbare il dolore e l’inquietudine altrui, rinunciando a chiedere attenzione, a chiedere il perché, a gridare “ci sono anch’io!”, quasi la sua stessa esistenza fosse una colpa. “Io le avevo sempre chiesto il minimo, forse anche meno. Invece, avrei dovuto chiedere tutto …”
Sua madre, Alberta, è un’artista di talento chiusa nel suo egocentrismo, nel suo passato, nelle sue fissazioni, nevrosi e paure: paura di essere malata, paura di dimenticare, paura di vivere e anche di essere madre. Suo padre, l’Ammiraglio, è folle, sfuggente, inafferrabile, distante, incapace di solidità, anch’egli ferito ma inerme, aggrappato a quella che è una fantasia (o forse, no) grandiosa, l’unica in grado di farlo reagire.
In una famiglia in cui le solitudini non s’incontrano né si compensano né si leniscono, ma si conservano e nutrono – sicché ognuno continua a muoversi nel proprio mondo senza incontrare quello dell’altro – Arturo è, a sua volta, un mondo a sé. Si muove confuso nel vuoto creato dall’anaffettività altrui, soffre in silenzio, in silenzio piange il suicidio di sua madre (cui ha la sfortuna di assistere), in silenzio prova ad accettare che lei abbia deciso di togliersi la vita e di abbandonarlo senza pensare a lui, salutandolo con un bacio sul naso, come quello che si dà ai bambini. “Non stava lasciando niente che le dispiacesse lasciare e io non me lo so spiegare né glielo posso perdonare.”
Il luogo in cui vive, San Lorenzo, non fa altro che accrescere il senso di estraneità e la solitudine: è una città soffocante, “di frustrati, di capricciosi, di pettegoli”, un ambiente provinciale e castrante “dove si stava stretti, dove tutti erano osservati da tutti e ognuno era solo a casa sua”, ma anche capace d’inspiegabili stranezze.
In queste pagine, però, si va oltre la consapevolezza che dal dolore non si scappa, che il dolore “ti troverà sempre …”. La vita vince. Come l’albero piantato nel cemento che riesce a salvare trapiantandolo altrove, anche Arturo “si salva la vita”. Decide di non soffrire più. Sceglie di ricominciare.
Dal perdono, innanzitutto, che viene dalla comprensione che ognuno porta dentro una dose di sofferenza alimentata da paure, angosce, legacci. Anche i suoi genitori. Anche sua madre. “Ti perdono, sussurrai, so che avevi paura e ti perdono.”
Dall’amicizia, che è pure amore, per Manuela e Renato, con cui instaura un rapporto di complicità e di condivisione talmente forte che Arturo, Manuela e Renato si considerano una persona sola, un completamento delle reciproche solitudini. “Non ero più triste, non con loro …”
Pierangelo Consoli scrive un romanzo di formazione dalla lettura fluida, ma profonda. La sua scrittura si avvale di periodi musicali, di parole semplici e asciutte e, tuttavia, ricercate, raffinate, intense, liriche, con cui ci racconta della vita, dell’assenza e della perdita, delle fragilità e dell’amore, ma ci mostra anche la speranza e la possibilità di salvezza, ricordandoci che ognuno, a suo modo, può scegliere di salvarsi la vita. Ognuno saprà da cosa salvarla, saprà cogliere il quando, avrà il suo perché.
Persino Arturo, che “non parla mai, ha gli occhi incasinati e non è tanto felice.”
Salvarsi la vita, Pierangelo Consoli, Nuova Editrice Berti, 2024, pagg. 125