Recensione di Antonella Perrotta
‘Nonna, chi siamo io e te?
Una nonna, una nipote. Due donne. Due vite.
Sei nido e sei nodo. Si annida o si annoda l’amore?
È mare aperto e si attraversa in volo. Lasciando il nido come fanno i gabbiani, stringendo nodi come sanno i marinai …’
C’è una scrittura che non si limita a raccontare, ma respira, pulsa.
Passo a due di Doris Bellomusto (Tralerighe libri editore) è proprio così: una prosa che respira poesia; un corpo testuale in cui le frasi sono versi, le parole sono intime, profonde, viscerali.
La narrazione è una danza, come svela il titolo. Una danza a due voci: Doris e sua nonna Dora. Due donne, due generazioni, due voci alternate in un intreccio di ricordi, di emozioni, di nostalgia, in un unico respiro narrativo che supera il tempo e lo spazio. Un inno d’amore e di appartenenza, in cui la memoria è carne viva.
La voce dell’una è la voce dell’altra. In Doris c’è anche Dora, che continua a vivere nei gesti quotidiani, nella cura per le persone care, per le piante, nell’amore per le piccole cose e per i piccoli gesti.
Dora profuma ‘di terra e di vento’, è ‘tempesta e fuoco, nuvola e pane’. La lingua con cui si racconta è un luogo sacro impastato di suoni antichi, radici, cunti e silenzi. ‘Sono fatta di storie sussurrate aru vientu, storie di fimmini forti come temporali. Sono una somma di storie storte e date in pasto all’oblio. Sono fatta di semine e raccolti, canti e cunti. Sono fatta di generosi perdoni e mancate scuse. Sono fatta di storie coraggiose e non le tradirò.’
Dora, ‘nido e nodo’, non se n’è mai andata. Anche quando ha cominciato a dimenticare il presente e i suoi giorni le sembravano ‘appizzati senza fine’. ‘Tiegnu a malatia du scuordu. Dicono che ho l’Alzheimer. Non riesco ad afferrare niente di intero’ dice, ma la sua voce è ancora forte, riconoscibile, perché Dora è l’amore che non muore mai. ‘L’amore è un debito che non si salda mai.’
‘Mi porto addosso la pelle di tante donne che non ho conosciuto’ scrive la Bellomusto, ricordandoci che non siamo solo presente e passato prossimo, ma siamo anche il frutto di chi ci ha preceduto e amato, della terra che ci ha visto nascere, delle parole cadenzate che ci sono state sussurrate, delle lingue antiche, delle mani che ci hanno curato e hanno impastato farina e miele, degli amori che ci hanno attraversato e sono rimasti per sempre.
Non dimenticare, ma coltivare la memoria, è uno strumento di esplorazione di noi stessi, di ricerca e riconoscimento della nostra identità.
In questo suo ultimo lavoro, la Bellomusto, nel dare voce a Dora e alla memoria, ‘ha riordinato’ il suo mondo. Ha esplorato la fragilità umana e il significato dell’amore ripiegandosi su se stessa, a volte anche dolorosamente. Attraverso la scrittura, si è concessa il diritto di ricordare, ma anche di reinventare. Di ascoltare la voce che non c’è più, ma continua a vibrare.
‘Ti porto con me sempre, sei fantasma e fantasia e mi accompagni. Ho avuto il coraggio di indossare i tuoi pensieri e immaginare cosa avresti potuto dire se avessi
saputo scrivere prima che il morbo ti assediasse completamente. Ho immaginato che mi vivessi accanto, che raccontassi a te stessa di me, mi sono vista attraverso i tuoi occhi, prestandoti la voce e l’inchiostro.’
La scrittura diventa un mezzo per affrontare il dolore e la perdita, un atto di esplorazione dell’amore in tutte le sue forme, il veicolo di connessione con le proprie radici, un rifugio, uno strumento per trasformare la nostalgia in bellezza. Un esercizio terapeutico, un atto di resistenza e di ricongiungimento. ‘Scrivere è un vizio’ dice l’autrice.
‘Attraverso le parole sciolgo nodi, scelgo le identità che voglio indossare e quelle di cui mi voglio liberare.’
Passo a due è una mappa dell’animo femminile cui la voce degli antenati è sostegno e specchio. E in un tempo che consuma tutto troppo in fretta, ci invita a fermarci, ad ascoltare, a ricordare, a scrivere. Per non perderci, per resistere, per amare ancora.
Passo a due, Doris Bellomusto, Tralerighe libri, 2025, pagg. 88


