Recensione di Antonella Perrotta
“Come si diventa grandi se da piccoli si è stati amati male?”
Sara Maria Serafini nel suo ultimo romanzo, Giovani e belli per Morellini Editore, attraverso le voci alternate di Diana e Lippo, affronta il tema dell’infanzia trascorsa in una casa famiglia, la Littarru, in Sardegna.
Diana e Lippo sono tra quei bambini “ammaestrati”, cresciuti “con regole da caserma” che ne soffocano le personalità. “Come se definire l’identità fosse un peccato…”.
Bambini “appesi alle finestre … come le tigri nelle gabbie”, che attendono di essere scelti da chi potrà essere una famiglia o potrà sparire nel nulla e che, per questo, “hanno dovuto imparare che esiste la solitudine …”.
Bambini che, per non morire, non possono permettersi di essere deboli, fragili, (“La fragilità era un difetto che non potevamo permetterci …”), e si fanno forza a vicenda, creando all’interno della casa un microcosmo affettivo in cui l’uno esiste per l’altro. La loro relazione è ancora di salvezza, punto di riferimento, legame viscerale che non si limita alla sopravvivenza, ma diventa rifugio, “tipo una caverna a cui puoi tornare se fuori piove molto e fa freddo.”
Diana e Lippo soffrono “il dolore dei disgraziati. Accettarlo e basta non è possibile.” Loro lo combattono. E “con soddisfazione.”
Ormai diciottenni fuori dalla mura della casa famiglia che li ha plasmati, continuano a stare vicini, così come vicini sono cresciuti. Ma al loro mondo manca un pezzo.
Manca Emma.
“Emma … era piccola e grande. Era la sorella e la mamma.”
Emma “era il centro del mondo. Tutti gli altri bambini l’avrebbero seguita negli abissi degli oceani, se solo lo avesse chiesto.”
“Emma … ci insegnava il tempo dell’attesa e non lo sapevamo, imparavamo che a volte si deve stare nelle cose come in una preghiera.”
Emma era la bambina abusata, come pure le altre, che “un giorno ha deciso di lanciarsi nel vuoto. E l’ha fatto, in quel suo modo facile di portare a termine un piano.”
Il corpo di Emma, con le braccia aperte in volo, giace su un campo di margherite. C’è un colpevole, anzi ci sono più colpevoli: tutti quelli che non hanno voluto vedere, tutti quelli che non hanno saputo proteggerla. Uno è più colpevole di tutti.
Diana e Lippo provano a cercarlo. Forse, per il bisogno di giustizia. Forse, per la curiosità di vedere che vita conduce, se si traveste da santo e continua a nascondere il mostro che è in lui. Forse per vedere se è ancora capace di fare del male.
Insieme a due amici, dalla Sardegna, compiono un viaggio – che non è solo geografico, ma anche interiore, un percorso di crescita e consapevolezza – che li porta in Sicilia, in Calabria, fino in Basilicata, a Maratea. Lì, c’è lui.
Sara Maria Serafini, con una prosa incisiva e penetrante, ci regala una storia che non teme di affrontare le ombre della sofferenza. La sua scrittura, scandita da pennellate brevi e decise, dipinge un quadro di dolore, di amicizia, di solitudine, di forza e coraggio. La voce dei due protagonisti è ferma, coerente, seppure tenera e straziante nella memoria del trauma. Attraversa il tempo, ma anche spazi sapientemente descritti (“L’Aspromonte ascolta i tuoi passi, la Sila parla nei fruscii di ogni foglia che cade al fondo di pini svettanti verso il sole…).
Una storia intensa, questa, che intreccia le esperienze di crescita e di resilienza, affrontando la realtà crudele di chi impara a sopravvivere.
Giovani e belli, Sara Maria Serafini, Morellini Editore, 2025, pagg. 208


