Quella notte in cui lo riconobbi

Sine Pagina - Quella notte in cui lo riconobbi
Immagine di Danny Doneo da Pexels (download gratuito Canva App)

Racconto di Dario Villasanta

L’avevo riconosciuto.

Anzi, li avevo riconosciuti: il mio passato, il mio improbabile presente e il futuro ancora da decidere.

Li avevo riconosciuti, quando incontrai quel ragazzo in quella notte milanese di umidi viali odorosi di tutto. Sì, perché la propria città, qualunque essa sia, ha un suo odore specifico e naturale che la rende riconoscibile all’olfatto, come la pelle della donna con cui si dividono le notti.

Con una donna tra l’altro mi trovavo allora, ospite nel suo lindo e confortevole appartamentino. Sandra, trentenne vispa e delicata, mi aspettava sempre per settimane o anche mesi prima di ricevere una mia telefonata e accogliermi con la sua voce morbida e già adulta, con un “ci sarò” sincero e disarmante. La mia Sandra… Se poi era giusto chiamarla “mia”.

Non avrei potuto fare a meno di quel rapporto in cui facevamo a meno di tutto: di parole, di condivisione, di costanza, di amore forse. Sapeva Sandra che avevo bisogno delle mie solitudini e dei miei tormenti per l’essere solo. Non chiedeva niente, forse non voleva neanche niente, o magari non me lo chiedeva e basta, ma mi offriva il suo esserci incondizionato tutte le volte che percepiva quanto ne avessi bisogno. E un letto, con il suo calore dentro.

Nulla era diverso quella sera.

Dopo intense ore passate a raccontarci il tutto e il niente, anche i silenzi, a coccolarci e ad amarci a modo nostro (ma avevamo poi un modo?) mi sentii improvvisamente stanco e bisognoso di un sorso della mia solitudine. Lei capì prima di me quel momento e annuì solo col capo, rassicurandomi con un sereno “vai pure”: fu così che infilai il mio vecchio giubbotto di pelle e andai incontro all’abbraccio della notte fresca e sorniona, come lei ti guarda quando cammini solo lungo i viali di periferia di Milano.

Mi incamminai mani in tasca, sguardo da sotto in su, il viale si perdeva nel suo orizzonte senza curve e senza mete. Mi fermai al primo bar che trovai, vuoto e odoroso di cibo già mangiato e di vino stantio appena sciacquato dai bicchieri. Bevvi un caffè che non volevo bere e uscii subito ad accendermi una sigaretta, chiedendomi dove stavo andando, cosa stavo cercando.

Fu lì che lo vidi:

fare annoiato ma sguardo aperto, senza gioie ma senza tristezze a sfigurare il volto con angosce indesiderate e desideri angosciati. Ci guardammo e fu questione di un attimo. Gli chiesi se ci fosse qualche locale aperto nei dintorni, rispose di sì e che si trovava da una parte del viale poco lontano e, anzi, ci stava per andare anche lui. Era solo? Sì, era solo, anzi molto di più a giudicare dal suo entusiasmo nel dirmi quelle poche parole. Sembrava ben felice di accompagnarmi e io, per qualche motivo che non sapevo, acconsentii con un sorriso che non mi vide.

Scambiammo poche parole sul niente, eppure ci sentivamo già fratelli in quel non aver niente da fare quando il resto della città, evidentemente, ce l’aveva, dato che non c’era molta vita in giro e si era di lunedì. Tanto che non ci fu né meraviglia né eccessivo dispiacere quando constatammo che il locale in questione era chiuso.

E dopo due ore di miei muti sguardi al marciapiede che calpestavo con passo arrogante, lui invece mi aveva già raccontato con poche parole la vita che non aveva, di ragazzo relegato a vivere in una casa famiglia, poiché la sua, di famiglia, pareva non esistere nella sua vita e nel suo racconto. Lo disse atono, senza lacrime e senza allegria. Solo come un fatto naturale e questo per qualche ragione mi sconcertò, nonostante del mondo avessi visto ormai troppo.

 

Non potei fare a meno di domandarmi perché lo facesse, di raccontarsi, dal momento che io ero solo un transito di poche ore nella sua esistenza e sarei sparito di lì a poco come un fantasma.

– Sai – mi disse – dove sto io nessuno mi chiede mai nulla. E va bene così. Però… Boh, non so, so che è così e basta -.

– Cosa vuol dire che non ti chiedono nulla? Vorranno ben sapere dove trascorri la notte, no? –

– No, nessuno chiede niente a nessuno, lì. Figo, no? –

Non sapevo perché ma non mi convinse.

Ci fermammo da un tabaccaio, presi da fumare per me e un accendino per lui che ne era sprovvisto, mi ringraziò con un entusiasmo che mi sorprese…. Gli chiesi cosa avrebbe fatto dopo, mi rispose che non lo sapeva, mi avrebbe riaccompagnato per un pezzo, poi sarebbe stato a zonzo ancora un po’ per il viale deserto, magari – disse – avrebbe trovato qualcuno a offrirgli una “fumata”, poi di nuovo alla casa famiglia dove nessuno avrebbe avuto nulla da eccepire su nulla e nessuno avrebbe chiesto nulla. Nessun rimbrotto, nessun plauso, nessuna condivisione di alcunché.

Condivisione! Ma certo!

Mancanza di confronto, conforto, condivisione…

Proprio come me, mi dissi, quando ero a casa mia. E anche ora, pensai, nonostante Sandra lì ad aspettare. E pensare che lei era diversa, giudice silenzioso che non firmava mai condanne, forse accondiscendeva e basta, ma era pur sempre una presenza… Avrei potuto dividere i miei bui con lei, o i miei silenzi? O avrei fatto invece la fine di quel ragazzo, solo nonostante tutto, mentre io lo ero per palese incapacità di rimettermi in gioco?

Mi incamminai di nuovo, questa volta da solo, lungo il viale sulla via del ritorno. Riflettevo, mi sentivo scosso al pensiero che avevo avuto di che salvarmi sotto gli occhi per tutto il tempo ma non ne avevo mai avuto il coraggio.

Codardo.

La polvere del tempo e dei ricordi che avevo addosso puzzava di solitudine e di tristezze infinite.

Rientrai a casa e vidi Sandra che mi aspettava. Sveglia. Era bello questo. Come al solito non mi avrebbe chiesto niente, ma se solo avessi aperto bocca sapevo che avrei potuto raccontarle ogni cosa, tutti i miei “perché” e i miei “perché no” e lei, paziente ma non troppo, avrebbe detto tranquillamente la sua, senza timore.

Confronto, conforto, condivisione …

Si sorprese quando l’abbracciai e le allungai una mano per tirarla fuori dal letto. Le dissi che avremmo avuto dopo il tempo per il letto. Mentre misi su un tè, mi sentii pregarla senza accorgermene:

“ti va di parlare un po’ con me?”

Dario S. Villasanta, fondatore di www.scriveredigitale.it, blogger, ex pubblicitario prestato all’editoria, ha svolto ruolo di ufficio stampa per numerosi autori e co-ideato e organizzato festival nazionali. Ha pubblicato: Il migliore (2014); Angeli e folli (poi ristampato col titolo Il prezzo), vincitore del premio speciale Emotion al Premio Internazionale Città di Cattolica 2015; Il gioco del castello (2015); Nella pancia del mostro (2016); le raccolte di racconti brevi Strade sporche e Dalla cenereI santi non esistono e gli eroi son tutti morti (2023, Daimon Edizioni), Confessioni di un cameriere (Oakmond publishing), Cattivo dentro (2025).

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Chi sono

Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.
Se ti va, puoi seguirmi sui miei profili social.

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Mi chiamo Antonella Perrotta. Nasco in Calabria la sera che precede il Lammas da madre siciliana e padre calabrese. Osservo, ascolto, leggo, scrivo, amo la Storia e le storie, il narrare e il narrarsi, ma non sopporto il chiasso e il chiacchiericcio. Sono autrice dei romanzi Giuè e Malavuci (Ferrari Ed., 2019, 2022) e di racconti pubblicati in volumi collettanei, blog e riviste. Performer dei miei testi. Fondatrice del blog Sine pagina.

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